Storie bergamasche

Storie di Ebrei bergamaschi perseguitati



A Bergamo prima della Shoà

La comunità ebraica bergamasca del 1938, anno della promulgazione delle leggi razziali, era numericamente poco rilevante: 73 persone di cui 40 residenti in città. La consultazione delle vecchie schede anagrafiche (su cui compare al scritta “razza ebraica”, a volte vistosamente ma non completamente cancellata), ha consentito di delineare un primo quadro della presenza ebraica a Bergamo. Delle quaranta persone residenti in città,  22 sono maschi e 18 femmine, così divisi per età: due bambini (di 4 e 8 anni), un ragazzo (14 anni), ventisette adulti (nove tra i 30 e i 39 anni, nove tra i 40 e i 49 anni, nove tra i 50 e i 59 anni), dieci ol­tre i 60 anni. Una piccola comunità, per lo più di recente insediamento. Tutti gli ebrei giungono in città dopo la prima guerra mondiale, con un'unica eccezione datata 1908. Solo due bambini sono nati a Bergamo. Si tratta di una comunità ben integrata e che mostra l'assenza di discriminazioni dell’Italia unitaria delle diciotto coppie coniugali italiane, dodici sono miste.

Le posizioni professionali sono di rilievo nell'ambito cittadino: il direttore della Banca d'Italia, l'intendente di finanza, un funzionario statale, il preside dell'Istituto magistrale, il direttore dell'Ospedale psichiatrico, un illustre oculista, un industriale, tre ingegneri, alcuni commercianti. Dei due bambini nati a Bergamo, uno, Andrea Viterbi, riceverà nel 1998 la cittadinanza onoraria «per aver reso possibile con le sue invenzioni la realizzazione della comunicazione digita­le» (delibera del Consiglio comunale di Bergamo numero 60723 del 14 dicembre 1998).

Le leggi razziali sconvolgono questo tranquillo quadro da media borghesia di provincia: chi ricopre incarichi pubblici viene cacciato dal posto di lavoro oppure obbligato alla pensione: nel giro di pochi mesi ben tredici persone su quaranta abbandonano la città dirette verso sedi di comunità ebraiche più ampie, altri sei le seguiranno nei due anni successivi.

A fronte di questa piccola emigrazione da Bergamo altri ebrei arrivarono nei paesini delle nostra valli: erano i cosiddetti “internati liberi”, stranieri costretti quindi a trasferirsi al confino in comuni delle zone montane del nord.

Altri ancora arrivarono a Bergamo in  cerca di rifugio o semplicemente sfollati dalle grandi città.

Ed è proprio fra coloro che erano arrivati a Bergamo come confinati o da sfollati che si registra il maggior numero di arrestati, forse perché, al contrario dei residenti da lunga data, essi potevano contare meno sulla rete di conoscenze e approfittare con minor successo delle  informazioni e della solidarietà che molti concittadini seppero esprimere.



La cattura degli ebrei finalizzata al loro trasferimento nei campi di sterminio tedeschi inizia già nel mese di ottobre del 43. La caccia metodica è condotta dalle forze della Guardia Nazionale Repubblicana ed ha inizio con l’ordinanza di polizia n. 5 emanata il 30 novembre 1943 dal Ministro dell’Interno della RSI Buffarini Guidi che ordina l’invio di “tutti gli ebrei, anche se discriminati a qualunque nazionalità appartengano e comunque residenti nel territorio nazionale” nei campi di concentramento e che i loro beni “mobili e immobili debbono essere sottoposti a immediato sequestro in attesa di essere confiscati
nell’interesse della Repubblica Sociale Italiana[1

 Scattano subito gli arresti: nel giro di due o tre giorni vengono catturati 17 dei 44 deportati della Bergamasca, l’incarico è svolto per lo più dalle normali forze di pubblica sicurezza, carabinieri in particolare, confluite nella Guardia nazionale repubblicana. Gli arresti si configurano come piccole operazioni di polizia contro gente inerme e considerata non pericolosa, da qui la facilità della cattura, ma anche la facilità della fuga (in alcuni casi, come ad esempio per la famiglia Zimet, chiaramente agevolata dal comportamento del comandante della stazione di Serina).

Quello che emerge dal quadro delle testimonianze non è un particolare livore antisemita dei militi, bensì la burocratica obbedienza tipica delle forze dell’ordine professionali, in questo caso per lo più carabinieri, rimasti al loro posto al cambiare dei vari regimi.

E’ il caso di sottolineare che il numero degli internati liberi presenti sul territorio è ben superiore a quello degli arrestati: tredici sono gli internati liberi deportati, mentre dai documenti esaminati è stato possibile identificarne almeno 38; molti quindi sono stati messi per tempo sull’avviso e sono riusciti a fuggire, come è documentato anche dalle carte della Prefettura e da numerose testimonianze.

Fra gli arrestati qualcuno riesce ad evitare la deportazione Olga Levi residente a Milano, sfollata dopo il bombardamento del 14 febbraio 1943 a Calolziocorte presso il fratello Levi Gerolamo, è arrestata il 2 dicembre 1943; sarà liberata dopo 3 mesi di carcere il 9 marzo 1944 in quanto riconosciuta figlia di matrimonio misto e discendente da “ramo materno ariano, cattolico, cristiano”.

Non vengono registrati altri arresti nella bergamasca nella seconda metà di dicembre e nel gennaio 1944.


Gli ebrei catturati a Bergamo e provincia sono in totale 44, 21 femmine e 23 maschi. Dei 44 deportati 25 sono nati in Italia, 19 all’estero; riguardo all’età: 7 sono ultra sessantenni, 5 hanno meno di 18 anni, fra loro due bambini di 3 e 7 anni.

Solo 9 di essi di essi sonora i residenti a Bergamo e provincia, gli altri sono ebrei sfollati, in fuga o internati liberi: vi è un consistente gruppo di venti ebrei milanesi, probabilmente sfollati, un gruppo di 9 persone proveniente da Cosenza presumibilmente ebrei stranieri già internati nel campo di Ferramonti di Tarsia e poi confinati nei paesi montani della bergamasca come “internati liberi”.

I catturati, dopo un primo soggiorno nelle carceri cittadine, vengono avviati verso i campi di concentramento e smistamento italiani: 31 al Campo di Fossoli, 2 al Campo di Verona, 7 al Campo di Bolzano, 3 al Carcere di Milano, 1 da campo ignoto, in attesa di essere avviati ai campi di sterminio.

Uno dei catturati morirà nel carcere di Milano.

Gli ebrei non vengono deportati singolarmente verso i campi di sterminio: nella prima fase sono concentrati nelle carceri di alcune grandi città o nei cosiddetti campi di transito; quando raggiungono un numero sufficiente (tra le mille e le 1300 unità) tale da rendere «economico» sia il trasporto sia le «procedure di accoglimento» alla destinazione vengono avviati ai campi di sterminio in Germania.

Gli ebrei catturati a Bergamo partono con otto diversi convogli:

due il 6 dicembre 1943, uno il 22 febbraio 1944, ventitre il 5 aprile 1944. quattro il 16 maggio 1944, uno il 26 giugno 1944, quattro il 2 agosto 1944, sette il 24 ottobre 1944. Di uno non si conosce la data esatta di deportazione.

La destinazione è comune a quasi tutti i deportati: 42 verranno avviati ad Auschwitz, 1 solo si fermerà Bergen Belsen, 1 invece morirà prima della partenza nel carcere di Milano.

Il destino finale grava sulla nostra storia, anche locale, ed è comune a quasi tutti i deportati: 17 verranno uccisi all’arrivo ad Auscwitz, e altri 3 vi moriranno in date successive, 3 moriranno a Bergen Belsen, 2 a Buchenwald, 1 a Dachau, 1 a Mauthausen.

Degli altri non si conosce l’esatto luogo della morte.





La Shoà si abbatte pesantemente sulla comunità Bergamasca: fra i  44 arrestati ci sono i tre membri della famiglia Sonnino, sei componenti della famiglia di Guido Levi, il farmacista di Ambivere.

A questi si devono aggiungere  i tre componenti della famiglia dell'ex direttore dell'ospedale psichiatrico di Bergamo, arrestati a Venezia. Si sono perse le tracce anche di un dell'apolide di origine polacca Jacob Schwarz nato nel 1902 e censito a Bergamo nel 1938.

La famiglia Sonnino: comprendeva Bella Marianna Ortona in Sonnino, nata nel 1875, del figlio Pllade Sonnino nato nel 1900, della figlia Ilda Sonnino nata nel 1904. Vengono arrestati a Nossa  il 17 agosto 1944. Per Pilade Sonnino la triste verità sarà certificata il 15 maggio 1955 dall'apposita Commissione interministeriale e di conseguenza da un atto di morte: è morto infatti a Mauthausen il 29 aprile 1945 in seguito ad esaurimento e a sevizie ed è stato cremato.

La sorte degli altri la scopriamo attraverso il «Libro della memoria» di Lillana Picciotto Fargion (Mursia 1991), frutto della paziente ricerca del Centro di documentazione ebraica di Milano: Bella Marianria Ortona, deportata ad Auschwitz viene qui uccisa  all'arrivo, il 10 aprile 1944; Ilda Sonnino, deportata ad Auschwitz, è deceduta a Bergen Belsen dopo il febbraio 1945.

 La famiglia Muggia: continuando a sfogliare il «Libro della memoria» scopriamo la sorte di dell'ex  direttore dell'ospedale psichiatrico, il dottor Giuseppe Muggia, e della moglie, Maria Ester Anna Levi, la figlia Franca Muggia . vengono rrestati a Venezia il 5 dicembre da italiani.

Detenuti nel carcere di Venezia e nel campo di Fossoli (Modena) vengono  deportati a Auschwitz: i genitori vengono uccisi all’arrivo, il 26 febbraio del 1944, anche la figlia subisce la stessa  in data e luogo ignoti.

La famiglia Levi: risiedeva nel comune di Ambivere. Il nucleo familiare era composto da sette donne e dal dottor Guido Levi, farmacista del paese. Guido Levi è nato a Modena il 5 aprile 1891, è farmacista, si è sposato con Emma Bianca Tedeschi, nata a Firenze il 13 febbraio 1887.

Dal matrimonio sono nate tre figlie: Nora, nata a Cengio il 9 dicembre 1920, Laura, nata a Cengio il 11 settembre 1922 e Clara, nata a Cesano Maderno il 1 marzo 1929.

Il 26 dicembre 1931 Guido Levi lascia Cesano Maderno per trasferirsi con la famiglia ad Ambivere dove ha rilevato la farmacia “Fumagalli”.

Guido Levi in quanto farmacista ha sicuramente una posizione di rilievo nel paese; è inoltre persona benvoluta e, da quanto riferiscono le testimonianze, attenta ai fatti politici e culturali che accadono in Italia.

Non è un oppositore del regime anzi le testimonianze lo descrivono come attivista della campagna “oro per la patria”, voluta dal regime dopo le sanzioni deliberate dalla Società delle nazioni nel 1936, e Guido Levi pensa sicuramente di poter vantare qualche merito verso il regime quando il 18 gennaio 1939  presenta alla Prefettura di Bergamo la domanda per ottenere il provvedimento di discriminazione di cui all'art. 14 R.D.L. 17 Novembre 1938-XVII, n. 1728.

La domanda di discriminazione non è l’unico dei provvedimenti che Guido Levi attua per tutelare la propria famiglia: il 30 settembre 1938 ai componenti della famiglia Levi viene impartito il battesimo dal vescovo Bernareggi, nella Cappella Vescovile di Bergamo, come risulta dai registri dell’archivio parrocchiale di Ambivere. Ad Ambivere, e precisamente il 15 settembre 1941, trasferendosi da una Genova troppo soggetta a bombardamenti, giungono le due sorelle di Guido, Lia Marta Levi, nata a Modena il 23 marzo 1888  e Elda Levi, nata a Modena il 13 agosto 1894.

Più tardi saranno raggiunti anche dalla sorella della moglie: Ada Tedeschi, nata a Firenze il 3 febbraio 1883, residente a Milano, presumibilmente sfollata presso la sorella. Il dott. Levi è persona attenta agli avvenimenti, e segue con preoccupazione l’acuirsi della  persecuzione razziale nel corso della guerra; dopo l’8 settembre intuisce i pericoli mortali che corre assieme alla famiglia e comunica le sue preoccupazioni all’amico Perico.

Purtroppo si ammala gravemente; gli sono amputate le gambe ed è ridotto su una carrozzella, muore di lì a poco, l’8 ottobre 1943.


Il primo dicembre del '43 il maresciallo dei carabinieri di Ponte San Pietro venne ad arrestare le sei donne della famiglia Levi: aspettò il ritorno della piccola Clara, che era a scuola a Bergamo, e le portò via.

Ecco la testimonianza di Maria Perico, una amica di famiglia, sull’arresto della famiglia Levi :

“Di mattino è arrivata una camionetta con il maresciallo dei carabinieri di Ponte San Pietro per prelevare le donne.

Mio padre mi chiama ed insieme andiamo a casa Levi; papà si inginocchia davanti al maresciallo, lo invoca di lasciarle andare, gli suggerisce di dire che non le ha trovate. Il maresciallo risponde: ”Non si preoccupi, signor Perico, è solo per un interrogatorio”. Clara non si trovava in casa, era a scuola a Bergamo (avrà avuto allora 13-14 anni). L’hanno aspettata che arrivasse con il treno e le hanno portate via..”

Le donne furono detenute per un primo breve periodo nel carcere di Bergamo. In seguito vennero trasferite al campo di Fossoli (Modena) e quindi il 5 aprile del 1944, deportate ad Auschwitz. Qui, nel campo di concentramento, venne­ro uccise nella camera a gas la cognata di Guido, Ada Tedeschi, e la vedova Emma Bianca Tedeschi, le sorelle Lia ed Elda Levi e successivamente Clara Levi (a Bergen Belsen subito dopo la liberazione, il 31 maggio '45) e Nora Levi .

Solo Laura riuscì a sopravvivere: per una febbre altissima, era stata ricoverata in infermerìa. Venne liberata e ritornò ad Ambivere continuando la gestione della farmacia e quindi a Bergamo. Morì, il 10 gennaio 1984, a 61 anni.

Vi è una sola testimonianza diretta da parte di Laura sulla sorte della sua famiglia, quella rilasciata al Tribunale di Bergamo nel corso del procedimento per la dichiarazione di morte presunta dei suoi famigliari:

In tale udienza la Levi Laura dichiarava che nel dicembre 1943 insieme con tutta la propria famiglia e le zie Levi Elda e Levi Lia Marta, era stata tratta in arresto dai fascisti e successivamente trasferita nel campo di concentramento tedesco di Birkenau in Polonia, che dopo qualche tempo la madre e le zie erano state soppresse nei forni crematori mentre le altre due sorelle erano state trasferite in altro lager in Germania; e che infine lei era stata liberata dalle truppe russe e quindi rimpatriata. Aggiungeva la ricorrente che, nonostante le ricerche fatte attraverso il Vaticano e la Croce Rossa, non era riuscita ad avere alcuna notizia dei parenti che con lei erano stati deportati in Germania.[2]

Argia Sonnino, figlia e nipote di ebrei sterminati dai nazisti, ci riferisce di Laura Levi:

“Nessuno, dopo la cattura, seppe darci notizie. Solamente una signora, si chiamava Levi, di Mapello, che era scampata agli orrori di Auschwitz  poté rivelarci qualcosa. Non molto pero, perché sussurrava di aver visto la nonna, di averle parlato. Ma quando noi le chiedevamo: "e poi, perché non è tornata, che le hanno fatto?" la signora Levi si metteva le mani nei capelli e riusciva dire soltanto: "no, no, no…“





Marco Krys è un ebreo di origini polacche, è nato a Leopoli (Polonia) il 2 aprile 1877, è sposato con Giuseppina Weinberger, nata a Vienna il 25 ottobre 1878.

Non sappiamo quando i coniugi Krys sono venuti in Italia né da dove, sono cittadini stranieri e, in quanto ebrei, nemici, vengono internati nel campo di Ferramonti di Tarsia,  presso Cosenza.

Come molti ebrei presenti nei paesi della montagna bergamasca hanno ottenuto di lasciare il campo e sono stati confinati a Gromo, dove abitano nella casa della signora Angelina Giudici.

Sono fra i primi arrestati nella bergamasca: è il 1° dicembre quando il maresciallo dei carabinieri di Gromo si attiva per catturare le due famiglie presenti in paese, quella di Leise Schwamenthal e Alice Redlich e quella degli anziani coniugi Krys.

Alice Radlich, avventurosamente sfuggita alla cattura, ci racconta l’arresto dei coniugi Krys:

“… E allora siamo tornati a casa e in casa c’era ancora il maresciallo che andava su da quei due vecchietti e diceva: “Oggi pomeriggio vi porto, dovete venire a Bergamo con me”. Loro erano molto religiosi e sabato sera si festeggiava, cioè già il venerdì sera si cominciava a festeggiare il sabato ed era venerdì, e loro dicevano: “No, noi il venerdì sera non ci mettiamo in viaggio, non possiamo”. E allora il maresciallo si mise a gridare e gridava anche verso di me dicendo: “Avevate tutto il tempo per scappare, ma adesso io tengo gli occhi bene aperti, adesso non provateci neanche perché ci andrò di mezzo io”.

I coniugi Krys vengono portati al carcere di Bergamo, e poi al campo di concentramento di Fossoli.

Da qui ci giunge un’ulteriore testimonianza: i signori Krys scrivono ad Angelina Giudici che li aveva ospitati a Gromo una cartolina postale:

CAMPO DI CONCENTRAMENTO – FOSSOLI (Modena)

“Fossoli 4 aprile 1944

Cara signorina Angelina circa due settimane fa vi abbiamo scritto una cartolina postale alla quale non abbiamo ricevuto nessuna risposta. Siccome dobbiamo domani inevitabilmente partire da qui e non sappiamo dove e non sappiamo il nostro destino. Vi preghiamo caldamente di non inviarci intanto nessuna posta fino riceverete il nostro nuovo indirizzo e di conservare gentilmente i nostri oggetti in un luogo buono e sicuro, perché attualmente non abbiamo indirizzo fisso e dobbiamo ricevere il nostro destino con rassegnazione e sperare alla prossima pace per l’umanità. State tutti bene e tanti tanti cordiali saluti e migliori voti. Coniugi Krys.”

Il giorno dopo, il 5 aprile 1944 parte il convoglio per Auschwitz, con loro altri 21 ebrei catturati nella provincia di Bergamo; giungeranno ad Auschwitz il 10 aprile 1944, dove troveranno subito la morte nelle camere a gas.


Regina Zimet-Levy, giovane ebrea internata con la famiglia a Serina e sfuggita all’arresto, ci racconta che a Serina nell’autunno del 1943 erano internate altre due famiglie ebree, che non ebbero il coraggio di affrontare i rischi della fuga e furono in seguito catturate e deportate: gli Schrecker  e  gli Stolzberg

Il loro arrivo e la loro permanenza a Serina sono documentati dai permessi di soggiorno e altra documentazione burocratica che ci consente di confermare e completare il racconto della Zimet-Levy dando una compiuta identità a queste persone.

Schrecker Erwin è un ebreo boemo, è nato a Praga (Cecoslovacchia) il 1 agosto 1898, è sposato con Leopolda Kosicek, nata a Ksnova (Cecoslovacchia), non sappiamo in che data.

I coniugi Schrecker sono giunti in Italia il 26 maggio 1939, ufficialmente per cure, in realtà per sfuggire alle persecuzioni naziste dopo che, il 15 marzo 1939, l’esercito tedesco ha invaso la Cecoslovacchia.

Allo scoppio della guerra sono internati nel campo di Ferramonti di Tarsia, dove Erwin insegna nella scuola costituita dagli ebrei all’interno del campo; successivamente è confinato a San Giovanni Bianco, dove reincontra la famiglia Zimet, e da lezioni scolastiche a Regina:

“Uno dei nuovi arrivati, il signor Schrecker, che era stato fra i miei insegnanti nella scuola del campo, propose ai miei ge­nitori di continuare a darmi lezioni in tutte le materie, date le circostanze. Eravamo contenti: lui di avere un'alunna e io di poter continuare a studiare. C'era solo un guaio: entrando nel mondo degli studi, dimenticava che ero una bambina delle e­lementari e pensava di avere davanti a sé uno dei suoi alunni di liceo. A volte mi terrorizzava perché voleva che imparassi tante materie non adatte alla mia età, così che spesso mio pa­dre doveva intervenire.”

Nel febbraio del 1943 gli Schrecker e gli Zimet sono trasferiti a Serina, come testimonia la carta di soggiorno rilasciata dal Comune di Serina in data 25 febbraio 1943

La firma Schrecker compare anche su un biglietto di condoglianze inviato il 2 novembre 1942 dagli internati liberi presenti nel paese al podestà in occasione della morte del padre: oltre a quella degli Schrecker il biglietto porta la firma di J. Stolzberg e moglie, P. Agadstein, F. Zimet e famiglia.

Gli Stolzberg sono ebrei polacchi, il marito Israel Stolzberg è nato a Kamionka (Polonia) il 5 settembre 1906.

All’autorità di P.S. del comune di S. Giovanni Bianco dichiara di essere di nazionalità polacca di professione commerciante e di essere venuto in Italia a scopo di commercio; in Italia è giunto l’11 aprile 1938 con la moglie, Agatstein Czama, nata a Horodenka (Polonia) il 5 luglio 1900.

Ai due coniugi si è aggregata la sorella di lei, Agatstein Chaliel Perla nata a Horodenka il 12 marzo 1904: il permesso di soggiorno di Perla, rilasciato dal Comune di Serina in data 25 febbraio 1943  indica come data di ingresso in Italia l’11 aprile 1938, quale scopo del soggiorno è dichiarato, con burocratica ironia: diporto.

La signora Perla risulta coniugata in Halzel, ma non vi è traccia nelle carte né nel racconto di Regina Zimet del marito.

Anche gli Stolzberg sono stati internati nel campo di Ferramenti e successivamente confinati a S. Giovanni Bianco e a Serina.

Le due famiglie vengono arrestate il 3 dicembre 1943.

Contrariamente agli Zimmet non hanno saputo approfittare delle possibilità di fuga che il maresciallo comandante della locale stazione dei carabinieri ha di fatto offerto agli ebrei internati e saranno portati al carcere di Bergamo.

Tutte due le famiglie verranno successivamente internate al campo di transito di Fossoli.

Gli Stolzberg verranno deportati da Fossoli ad Auschwitz il 16 maggio 1944 e vi troveranno la morte, non sarà possibile accertarne il luogo e la data esatta.

Più lunga è la permanenza degli Schrecker a Fossoli: non vengono inviati ai campi di sterminio in Germania con i primi sei convogli che a partire dal 19 febbraio avevano caricano migliaia di ebrei nella vicina stazione di Carpi.

Giunge però anche il loro turno: I coniugi Schrecker e alcune altre centinaia di deportati vengono trasportati a Verona dove vengono separati e caricati su vagoni diversi.

Il treno, partito il 2 agosto 1944, verrà frazionato lungo il percorso.

Leopolda Kosicec, giunta a Bergen Belsen il 5 agosto, riesce a sopravvivere  e viene liberata dalle truppe inglesi il 15 aprile 1945.

Erwin Schrecker non ha avuto la stessa fortuna: giunto ad Auschwitz il 6 agosto vi trova la morte,  senza che sia possibile accertare il luogo e la data esatta.


Pochissime sono le notizia che abbiamo di questa famiglia, poco più dei dati anagrafici ed un elenco di beni, prevalentemente vestiario, contenuti in cinque casse e sequestrati nella Villa dell’erba di Treviglio.

Eppure bastano questi dati per darci conto di una storia terribile, quella di Rachele e del marito, e di una finora sconosciuta storia d’amore e di solidarietà, quella di una delle due figlie.

Rachele Lea  Stern è nata a Tarnopol in Polonia l’11 settembre 1889, non sappiamo dove incontra Simeone Manas, ebreo romeno nato a Galatz il 25 settembre 1884.

A Vienna nascono le due figlie: Charlotte il 25 maggio 1910 e Cecilia l’11 luglio 1923.

 Non sappiamo quando la famiglia Manas giunge in Italia, probabilmente a Milano, fuggendo dall’Austria occupata dai nazisti nel 1939; in tempi successivi si sono o sono stati trasferiti nell’Italia del sud come molti altri ebrei stranieri, all’anagrafe di Treviglio vengono registrati come provenienti da Polla (Salerno) il 15/3/1942.

La registrazione anagrafica presenta alcune anomalie: contrariamente ad altri internati liberi, sono regolarmente iscritti nell’anagrafe, sulle schede non è riportata la loro cittadinanza, benché da un altro documento, rinvenuto presso il Comune di Serina, risulti chiaramente il loro status di stranieri internati liberi.

La figlia Cecilia ha conosciuto probabilmente durante il soggiorno al sud un ufficiale dell’esercito, Gerardo Politi, con cui ha contratto matrimonio religioso, che non ha potuto essere registrato nello stato civile a causa delle leggi esistenti.

E’ da notare che il marito, ufficiale dell’esercito e ingegnere chimico, che ha messo a repentaglio la propria posizione per sposare Cecilia, deve godere di cospicui appoggi se riesce ad ottenere un trattamento di attenzione nei confronti della moglie.

L’ordinanza di polizia della RSI del 30 novembre 1943 sconvolge anche la vita della famiglia Manas: Rachele viene arrestata nello mese di dicembre, portata prima al carcere di Bergamo, poi al campo di Fossoli, partirà per Auschwitz il 22 febbraio 1944, morirà in luogo e data ignoti dopo il 16 agosto 1944.

 Simeone troverà la morte prima della moglie: è deceduto il 30 gennaio 1944 per emorragia cerebrale, impossibile sapere se dovuta a cause naturali o a violenza.

Le due figlie sfuggono invece alla cattura.

Sappiamo che a Treviglio altri ebrei hanno trovato rifugio sia presso le suore sia presso famiglie di privati, l’unico dato certo è che Cecilia viene raggiunta dal marito e il 30 gennaio 1945 viene celebrato da monsignor Egidio Bignamini il matrimonio religioso.

Non sappiamo cosa abbia indotto gli sposi a ripetere la cerimonia, ma possiamo supporre l’impossibilità di procurarsi la documentazione del primitivo matrimonio e necessità connesse all’occultamento o alla fuga di Cecilia; il matrimonio è registrato nei registri dello stato civile del Comune di Treviglio al termine della guerra.

Le sorelle Manas  verranno cancellate d’ufficio dall’anagrafe di Treviglio per irreperibilità al censimento del 1951; troviamo però alcune altre notizie di Cecilia nell’anagrafe del comune di Polla: viene infatti iscritta in quel comune il 23 novembre 1953 proveniente da Napoli, in cui risulta essersi censita; Cecilia si fermerà a Polla fino al 1970 quando verrà cancellata per emigrazione negli Stati Uniti.


Regina Hazan è nata in Turchia a Smirne il 20 dicembre 1905, non sappiamo se ha conosciuto il futuro marito sulle coste dell’Egeo o a Milano, dove Abraham Levj risiede dal 30 giugno 1927, è certa invece la data del matrimonio: il 12 novembre 1931.

Milano è la città dove si svolge la vita della coppia fino all’emanazione delle leggi razziali ed è qui che il 6 novembre 1932 nasce il primo figlio, Vittorio.

I coniugi Levi non posseggono la cittadinanza italiana: Abrham Levj, nell’atto di nascita del figlio Vittorio (1932), è qualificato come cittadino portoghese, la moglie Regina, nell’atto di nascita della figlia Ester Vittoria  (1941), è qualificata come cittadina portoghese, ma è in possesso anche della cittadinanza turca, così almeno risulta all’anagrafe di Milano nel 1942.

La promulgazione delle leggi razziali induce la coppia alla fuga: Levj Abraham viene cancellato dall’anagrafe di Milano per l’estero il 2 marzo 1939.

La fuga all’estero però non riesce: non ci sono notizie della famiglia Levj fra il 1939 e il 1941, impossibile quindi dire se anche loro hanno tentato, senza successo, di raggiungere la Palestina attraverso la Libia, come molti ebrei stranieri residenti in Italia, o se hanno cercato di raggiungere un’altra nazione sicura: di certo qualcosa non ha funzionato, ed entrambe sono di nuovo a Milano, in via Bottesini 18, quando il 19 gennaio 1941 nasce Ester Vittoria; all’anagrafe di Milano risultano però reiscritti d’ufficio, a quell’indirizzo, soltanto il 6 febbraio 1942: segno inequivocabile che i coniugi Levj non hanno ritenuto opportuno segnalare il loro rientro alle autorità.

Forse è da collegarsi alle leggi razziali e a questo periodo tormentato un altro fatto curioso: Abraham Levj  - così compare all’anagrafe e negli atti di nascita dei figli - preferisce usare il nome italianizzato Levi e farsi chiamare Alberto, probabilmente un secondo nome, e in tal modo si firma anche nelle lettere che indirizza al Prefetto di Bergamo dopo la Liberazione.

La presenza in Milano non è destinata a durare a lungo: nell’anno 1943 Regina Hazan con i figli  e il marito è confinata a Trescore Balneario, come ci informa lo stesso Comune.

Non conosciamo le condizioni economiche della famiglia in questo periodo, anche se è facile dedurre una situazione piuttosto critica: alla nascita del primo figlio (1933), Abraham si dichiara commerciante; alla nascita della figlia, nel 1941, venditore ambulante; la famiglia doveva avere raggiunto una certa tranquillità economica: la casa di Milano nel contesto della documentazione appare di loro proprietà, ma le leggi razziali e la fuga all’estero hanno certamente aggravato la loro situazione: l’appartamento di Trescore e i beni lì sequestrati non descrivono una situazione florida, e Abraham nelle lettere scritte dopo la liberazione dichiara apertamente la propria difficile situazione economica.

E’ probabilmente la necessità di procurare da vivere alla famiglia che porta Abraham ad allontanarsi da Trescore ed è questo che lo salva: non è in casa quando un giorno del febbraio 1944 militi italiani della Rsi  si presentano alla porta dei Levj e arrestano la madre e i due figli.

Possiamo quasi vedere Regina avviarsi verso la camionetta dei militi tenendo  in braccio la piccola Ester Vittoria, che ha appena due anni,  e Vittorio, che ne ha 11, seguirla impaurito, ma forse anche eccitato per l’insolita avventura.

La destinazione è prima il carcere di Bergamo, poi il campo di concentramento di Fossoli.

Malgrado quello che compare nelle comunicazioni del comune di Trescore, Regina Hazan non è apolide, bensì cittadina turca, paese ancora neutrale nel 1943, e i figli Vittorio e Ester Vittoria sono cittadini portoghesi, ed anche il Portogallo è ancora un paese neutrale, ma questo non basta a salvarli dalla deportazione.

Il 5 aprile 1944 un treno li porterà ad Auschwitz; sullo stesso treno vi sono altri 19 ebrei catturati in provincia di Bergamo, fra cui altre due famiglia con eguale cognome: i tre membri della famiglia di Salvatore Levi e i sette membri della famiglia Levi di Ambivere.

Regina e i figli arrivano ad Auschwitz il 10 aprile 1944: Vittorio e Ester Vittoria, troppo piccoli per essere in qualche modo sfruttati verranno subito uccisi; Regina morirà più tardi, ma non si conoscono il luogo e la data esatta

 L’atto di morte registrato allo stato civile del comune di Milano ci informa: “La suddetta Hazan Regina è morta in seguito ad asfissia nelle camere a gas (in deportazione)  ed è stata sepolta e la salma cremata nel campo stesso”


Le vicende delle famiglie Schwamenthal e Zimet,  possono essere assunte come paradigma delle condizioni degli “internati liberi”.

La famiglia Schwamenthal è internata nel campo di Ferramonti di Tarsia il 23 luglio 1940, ad oltre un mese dallo scoppio della guerra e venti giorni prima che l’internamento venga codificato in legge, evidentemente i primi provvedimenti erano stati presi per pura via amministrativa

Il 4 di ottobre, gli Schwamenthal  sono trasferiti al nord, prima destinazione Trescore Balneario e subito dopo Clusone, dove giungono l’ 8 o il 9 di ottobre

Gli internati dovono presentarsi giornalmente a firmare il registro di presenza alla stazione dei carabinieri e ricevono un sussidio dallo stato:…

Il sussidio non è sufficiente a garantire la sopravvivenza, …

Gli internati ebrei cercano pertanto di arrotondare il magro sussidio con varie attività, come viene riferito da diverse testimonianze:

Il marito di Alice Redlich riesce a guadagnare qualcosa rivendendo tessuti che gli vengono affidati da alcuni negozianti di Ardesio, girando a piedi nelle frazioni tra Gromo e Ardesio.

Diversi si guadagnavano la vita lavorando ritagli di pellicceria o vendendo le pellicce così confezionate alla popolazione. Il comportamento esemplare degli internati ha valso a conquistare loro la stima non solo della popolazione del paese, ma anche delle Autorità.

Gli ebrei ricevono in genere la solidarietà della popolazione, ma destano anche l’ostilità di esponenti fascisti antisemiti presenti nei più importanti paesi delle valli: alle lamentele di questi personaggi  viene attribuito lo spostamento degli internati in paesi più piccoli e decentrati:

La famiglia Schwamenthal viene trasferita a Gromo il 31 maggio 1942, ma l’ordine di trasferimento era già pervenuto il giorno venti.

La famiglia Zimet e altre due famiglie internate a S. Giovanni Bianco nel corso dell’estate vengono trasferite a Serina.

Gli Zimet e gli Schwamenthal riescono a fuggire sottraendosi al terribile destino che hanno incontrato altre famiglie di “internati liberi” .





Per la cattura degli ebrei bergamaschi è stato determinante l'apporto della burocrazia e delle milizie locali. Quella israelita non era infatti una comunità concentrata, ma era formata da piccoli nuclei sparsi nei vari paesi della provincia, la cui presenza poteva essere individuata solo con la collaborazioni delle autorità italiane. A Bergamo la cattura degli ebrei è stata opera quasi esclusiva di forze della Repubblica sociale italiana e non di soldati tedeschi: dei 44 catturati,  solo 3 sono catturati da tedeschi, mentre per 6 non vi è notizia certa dell’agente di cattura.

Accanto ai nomi di tanti concittadini che aiutarono la comunità ebraica di Bergamo, mettendo a rischio anche la propria incolumità,  si devono purtroppo registrare anche tanti episodi di delazione e di fattiva collaborazione per la solerte applicazione delle leggi razziali e per la cattura deportati da Bergamo. Fra i personaggi più tragicamente attivi nella divulgazione dell’odio antisemita e nella cattura degli ebrei si ricorda il sottotenente della Guardia  Nazionale Repubblicana Alessandro Ghisleni, nato a Bergamo il 9 settembre 1902, iscritto al PNF. Con la qualifica di squadrista e sciarpa littorio, fra i primi ad aderire al Partito Fascista Repubblicano il 4 ottobre 1943, è membro del triunvirato che organizza la prima struttura del Pfr. a Bergamo, nella GNR, è addetto all’Ufficio politico; al termine della guerra, il 16 maggio 1945, viene arrestato e processato; il 25 agosto 1945 verrà condannato a 24 anni di reclusione, sentenza annullata dalla Corte di cassazione il 8 gennaio 1947 con rinvio della causa al Tribunale di Brescia; emigrato in Argentina nel 1950, rientra a Bergamo nel 1956. Muore  a Nateroi (Brasile) il 20 marzo 1966

Così scriveva su “Bergamo Repubblicana” il 30 novembre 1943:

“Ebbene signori è ora di finirla! Così come è ora di finirla con gli ebrei.. La guerra l’hanno scatenata loro. Loro l’hanno voluta così come è detto nei Protocolli dei Savi di Sion (e a chi non li ha letti consigliamo di prenderne visione). Sono sempre stati i nostri nemici e ancor più lo sono oggi con la costituzione della Repubblica Sociale. E che aspettiamo a trattarli come tali? Aspettiamo forse che dopo aver nascosti e murati i loro tesori – lasciati in custodia ai servizievoli gentili – se la svignino nella ospitale Svizzera e da là continuino la loro nefanda campagna contro di noi? Basta con le parole. I fatti vogliamo, per il bene di tutti, per la salvezza della Patria” .

Il 30 maggio 1944 Ghisleni era al comando dei militi della Guardia Nazionale repubblicana (GNR)  che effettuano la retata all’istituto Palazzolo, dove avevano trovato rifugio alcuni ebrei nascosti da un parroco,  Don Tranquillo Dalla Vecchia, attivo membro della Resistenza che sarà poi arrestato e incarcerato a Milano.

All’origine della retata una delazione: un ricoverato a carico dell'Istituto nazionale fascista assicurazione infortuni sul lavoro (Infail) si era lamentato per iscritto presso il predetto Istituto perché gli ebrei nascosti presso l’Istituto Palazzolo erano trattati meglio di lui; l’Infail ha passato la segnalazione alla Prefettura che l’ha inoltrata al Servizio politico della Federazione fascista di Bergamo. I militi si presentano alle porte dell’Istituto il 30 maggio 1944 cercando gli ebrei di cui il delatore ha fatto i nomi: Colli, Tollentino e Piccini.

Alla fine furono 6 gli arrestati: i tre fratelli Vittorio, Mario e Guido  Nacamulli, Gustavo Corrado Coen Pirani,  Oscar Tollentini, Giuseppe Weinstein.

Tutti vengono interrogati a lungo, le versioni fornite dai tre fratelli Nacamulli sono evidentemente concordate: nessuno accenna alla madre o alle sorelle, mentre del padre dicono che ormai dovrebbe essere espatriato.

I tre fratelli verranno tradotti prima al carcere di Milano, poi al campo di concentramento di Bolzano e da lì il 24 ottobre 1944 deportati ad Auschwitz, dove Vittorio muore in conseguenza dei patimenti subiti il 28 gennaio 1945, quando il campo era ormai stato liberato; Mario e Guido dovranno invece affrontare la infernale marcia di trasferimento fino a Buchenwald, dove moriranno rispettivamente il 27 febbraio 1945 e il 3 marzo 1945.

Oscar Tollentini era un maestro di canto, nel suo verbale di interrogatorio la frase di rito “il quale interrogato risponde” è sostituita da “il quale opportunamente interrogato dichiara quanto segue”, il che fa supporre il ricorso a metodi violenti. Si può notare, inoltre, che è l’unico che non riporta l’ora dell’interrogatorio, e che l’interrogato muore prima della deportazione: tradotto nel carcere di Milano, vi trova la morte in stato di detenzione il 16 agosto 1944.

Giuseppe Weinstein  avrebbe potuto salvarsi: è stato fatto fuggire dal parroco, che è stato arrestato e trattenuto in ostaggio in sua vece; saputolo, ha preferito  consegnarsi, ottenendo così il rilascio di don Dalla Vecchia.

La cattura è solo l’inizio della sua odissea, verrà tradotto al carcere di Milano, e poi, il 7 settembre 1944, al campo di concentramento di Bolzano; da lì il 24 ottobre 1944 verrà deportato a Auschwitz. Sarà ucciso all’arrivo il 28 ottobre 1944.

Gustavo Corrado Coen Pirani viene tradotto al carcere di Milano e successivamente, il 7 settembre 1944, al campo di concentramento di Bolzano, viene deportato  il 24 ottobre 1944 a Auschwitz, dove é ucciso all’arrivo, il 28 ottobre 1944.



Sono 44 gli ebrei arrestati a Bergamo e provincia, Dei 44 deportati, 7 sono ultra sessantenni, 5 hanno meno di 18 anni, fra loro due bambini di 3 e 7 anni.

Riportiamo qui i loro nomi, aggiungendovi anche i 3 componenti della famiglia del direttore dell’ospedale psichiatrico, dottor Giuseppe Muggia, censita come ebraica a Bergamo ma arrestata a Venezia, e i 4 componenti della famiglia Piperno, censita nel 1938 a Scanzorosciate e tornata a Milano nel 1941

L’elenco quindi comprende 51 nominativi, di questi solo 3 si sono salvati da un destino atroce.

1          AGASTEIN CHARLIEL PERLA nata a Horodenka (Polonia) i1 2/03/1904

2          AGASTEIN STOLZBERG CZAMA nato a Horodenka (Polonia) il 05/07/1900

3          IDA EUGENIA CANTONI nata a Este (Ferrara) il 24 marzo 1891, figlia di Giulio ed Eugenia Mortara, coniugata con Tito Finzi. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Calolziocorte nell'ottobre del 43 da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli.Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile1944. Uccisa all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944. Fonte Ia, convoglio 09.

4          ELENA  COEN nata a Milano il 25 gennaio 1893, figlia di Marco e Ida Finzi. Arrestata a Bergamo nel marzo 1944 da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata ad Auschwitz il 16 maggio 1944. Deceduta in data e luogo ignoti. Fonte la, convoglio 10

5          GUSTAVO COEN PIRANI nato a Pisa il 19 maggio 1885, figlio di Achille e Clotilde Di Veroli,.Ultima residenza nota: Genova. Arrestato a Torre Bordone il 30 maggio 1944. Detenuto nel carcere di Bergamo, in quello di Mlilano e nel campo di Bolzano. Deportato da Bolzano il 24 agosto  1944. Ucciso all'arrivo ad Auschwitz il 28 ottobre. Fonte Ib, convoglio 18.

6          TITO FINZI nato a Milano il 5 settembre 1881, figlio di Paolo Fausto  ed Erica Guastalla, coniugato con Ida Cantoni. Ultima residenza nota:Milano. Arrestato a Calolziocorte il primo febbraio 1943, trasferito nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportato da Fossoli il 5 aprile 1944. Ucciso all'arrivo a Auschwitz  nell’aprìle 1944. Fonte la, convoglio 09.

7          ERMANNO FONTANELLA nato a Parma il 12 gennaio 1906, da Ciro e Jole Tedeschi, ultima residenza nota: Milano. Arrestato a oltre il Colle il 22 ottobre 1943 da tedeschi. Detenuto  a Milano e nel campo di Fossoli. Deportato  a Auschwitz il 2 agosto 1944. Deceduto in evacuazione da Auschwitz  il 19 gennaio 1945. Fonte la, convoglio 14.

8          ANNA MARIA GOTTLIEB nata a Budapest (Ungheria) il 29 filgia di Alberto e Margherita Frommer. Ultima re…-Hume. Arrestata a Bergamo il (...) da italiani. Detenuta a Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Liberata ad Auschwitz.

9          CLARA GUTTENTAG nata a Nagykanisza (Ungheria) il 14 gennaio 1877, figlia di Ignazio e Veronica Fischer. Ultima residenza nota: Fiume. Arrestata a Bergamo nel giugno 1944. Deportata ad Auschwitz. Uccisa all'arrivo ad Auschwitz.

10        ELISABETTA HAFTER nata a Brno (Cecoslovacchia) il 10 ottobre 1908, figlia di Hermann e Amalia Gruenwaid, coniugata con Bernardino Zenger. Ùltima residenza nota:'Cosenza. Arrestata in provincia di Bergamo da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Deceduta in luogo e data ignoti. Fonte 1a, convoglio 09.

11        REGINA HAZAN nata a Smime (Turchia) il 20 dicembre 1905, figlia di Jacob e Sarà Margounato, coniugata con Alberto Levi. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a- Trescore nel febbraio 1944 da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata il 5 aprile 1944 ad Auschwitz. Deceduta in luogo e data ignoti. Fonte la, convoglio 09.

12        LEOPOLDA KOSICEK nata a Ksnova (Cecoslovacchia), figlia di Joan e Hanna Weingartner, coniugata con Erwin Schrecker. Arrestata a S. Giovanni Bianco da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Verona a Bergen Belsen il 2 agosto 1944. Liberata

13        MARCO KRYS nato a Leopoli (Polonia) il 2 aprile 1877, figlio di Simone e Berta Schneit, coniugato con Giuseppina Weinberger. Ultima residenza nota: Cosenza. Arrestato in provincia di Bergmo da italiani. Detenuto nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportato da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Ucciso all'arrivo a Auschwitz il 10 aprile 1944. Fonte la, convoglio 09.

14        CLARA LEVI nata a Cesano Mademo il primo marzo 1929, figlia di Guido ed Emma Bianca Tedeschi. Arrestata ad Ambivere il primo dicembre 1944 da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportato da Fossoli ad Auschwitz 5 aprile 1944. Deceduta a Bergen Belsen il 31 maggio 1945 dopo la liberazione. Fonte la, convoglio 09.

15        DONATELLA LEVI nata a Genova il primo giugno 1927, figlia di Salvatore e Margherita Viterbo. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Nembro il 23 febbraio 1944 da italiani. Detenuta nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Deceduta ad Auschwitz nel 1944. Fonte la, convo­glio 09.

16        ELDA LEVI nata a Modena il 13 agosto 1894, figlia di Sansone e Rosa Levi. Ultima residenza nota: Bergamo. Arrestata ad Ambivere il primo dicembre 1943. Detenuta nel carcere di Bergamo carcere e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwiiz il 5 aprile 1944. Deceduta in luogo e data ignoti. Fonte la, convoglio 09.,

17        ESTER VITTORIA LEVI nata a Milano il 19 gennaio 1941, figlia di Alberto e Regina Hazan. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Trescore nel febbraio 1944 da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Uccisa all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944. Fonte la, convoglio 09.

18        LAURA LEVI nata a Cengio l'11 settembre 1922, figlia di Guido ed Emma Bianca Tedeschi. Arrestata ad Ambivere il primo dicembre 1943 da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Liberata ad Auschwitz. Fonte la, convoglio 09.

19        LIA:MARTA LEVI nata a Modena il 23 marzo, 1888, figlia di Sansone e Rosa Levi. Arrestata ad Ambivere il primo dicembre 1943 da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Deceduta in luogo e data ignoti. Fonte la, convoglio 09.

20        NORA LEVI nata a Cengio il 9 dicembre 1920, figlia di Guido ed Emma Bianca Tedeschi. Arrestata ad Ambivere il primo dicembre 1943. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Deceduta a Bergen Belsen il 31 maggio 1945 dopo la liberazione. Fonte la, convoglio 09.

21        SALVATORE LEVI nato a Dronero il 16 marzo 1883, figlio di Daniele ed Enrichetta Levi, coniugato con.Margherita Viterbo. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Nembro il 23 febbraio 1944 da italiani. Detenuto nel carcere di.Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportato da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Ucciso all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944. Fonte la, convoglio 09.

22        VITTORIO LEVI nato a Milano il 6 novembre 1932, figlio di Abramo Alberto e Regina Hazan, ultima residenza nota: Bergamo. Arrestato a Trescore nel febbraio 1944 da italiani. Detenuto nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportato da Fossoli il 5 aprile 1944. Ucciso all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944. Fonte la, convoglio 09.

23        FERRUCCIO MILLA nato a Cento (Ferrara) il 27 marzo 1888, figlio di Ernesto e Giulia Levi. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Verdello il 13 ottobre 1943 da tedeschi. Detenuto nel carcere di Bergamo e in quello di Milano. Deportato da Milano ad Auschwitz il 6 dicembre 1943. Ucciso all'arrivo ad Auschwitz l'11 dicembre 1943. Fonte la, convoglio 05

24        UGO MILLA nato a Vignola il 14 novembre 1894, figlio di Er­nesto e Giulia Levi, coniugato con Lea Milla. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Verdello il 13 ottobre 1943. Detenuto nel carcere di Bergamo e in quello di Milano. Deportato da Mi­lano ad Auschwitz il 6 dicembre 1943. Ucciso all'arrivo ad Au­schwitz l'il dicembre 1943. Ponte la, convoglio 05

25        JOSEF MILSTEIN nato a Varsavia (Polonia) il 24 agosto 1898, figlio di Lazar e Mirka Dworeska, coniugato con Elsa Knister. Ultima residenza nota: Cosenza. Arrestato a Bergamo il 30 novembre 1943 da italiani. Detenuto nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportato da Verona ad Auschwitz il 2 agosto 1944. Deceduto in luogo e data ignoti. Fonte Ib, convoglio 14. -
26        GUIDO NACAMULLI nato a Istanbul il 10 aprile 1911, figlio di Davide e Margherita Raffael. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Torre Boldone il 30 maggio 1944 da italiani. Detenuto nel carcere di Bergamo, Milano e nel campo di Bolzano. Deportato da Bolzano ad Auschwitz il 24 ottobre 1944. Deceduto a Buchenwald il 3 marzo 1945. Fonte la, convoglio 18

27        MARIO NACAMULLI nato a Istanbul il 7 maggio 1920, figlio di Davide e Margherita Raffael. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Torre Boldone il 30 maggio 1944 da italiani. Detenuto nel carcere di Bergamo, Milano e nel campo di Bolzano. Deportato da Bolzano ad Auschwitz il 24 ottobre 1944. Deceduto a Buchenwald il 27 febbraio 1945. Fonte la, convoglio 18

28        VITTORIO NACAMULLI nato a Milano il 22 marzo 1924, figlio di Davide e Margherita Raffael. Ultima residenza nota: Milano. Arrestato a Torre Boldone il 30 maggio 1944 da italiani. De­tenuto nel carcere di Bergamo, Milano e nel campo di Bolzano. Deportato da Bolzano ad Auschwitz il 24 ottobre 1944. Deceduto ad Auschwitz il 28 gennaio 1945 dopo la liberazione. Fonte la, convoglio 18.

29        MOISE NACHMANSOHN nato a Ekaterinoslav (URSS) il 15/05/1866

30        SIGISMONDO OFFNER nato a Rabi (Cecoslovacchia) il 16 settembre 1884, figlio di Giuseppe e Giovanna Forges. Arrestato a Bergamo il 23 maggio 1944 da italiani. Detenuto nel carcere di Bergamo, Bologna e nel campo di Fossoli. Deportato da Fossoli ad Auschwitz il 26 giugno 1944. Deceduto in luogo e data ignoti. Fonte la, convoglio 13

31        BELLA MARIANNA ORTONA nata a Casale Monferrato (Ales-sandria) il 24 febbraio 1874, figlia di Consiglio e Giuditta Valenza, coniugata con Amleto Sonnino. Arrestata a (...) (Nossa, ndr) nel febbraio 1944 da italiani. Detenuta a Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli il 5 aprile 1944 ad Auschwitz. Uccisa all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944. Fonte la, convoglio 09.

32        ERWIN SCHRECKER nato a Praga (Cecoslovacchia) nel 1898, figlio di Moritz ed Enrichetta Reininger, coniugato con Leopolda Kosicek. Ultima residenza nota: Cosenza. Arrestato a San Giovanni Bianco il 30 novembre 1943 da italiani. Detenuto nel campo di Fossoli. Deportato da Verona ad Auschwitz il 2 agosto 1944. Deceduto in luogo e data ignoti. Fonte la; convoglio14

33        TIBURZIO SOMOGY nato a Fiume il 16/06/1910

34        ILDA SONNINO nata a Genova il 17 luglio 1904, figlia di Amleto e Bella Marianna Ortona, ultima residenza nota: Bergamo. Arrestata a (...) (Nossa, ndr) nel febbraio 1944 da italiani. Detenuta a Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli il 5 aprile 1944 ad Auschwitz..Deceduta a Bergen Belsen dopo il febbraio 1945. Fonte la, convoglio 09.

35        PILADE SONNINO nato a Livorno il 26 giugno 1900, figlio di Amieto e Bella Marianna Ortona. Arrestato a Nossa (Bergamo) il 17 agosto 1944 da (...). Detenuto nel carcere di Milano e nel campo di Bolzano. Deportato da Bolzano ad Auschwitz il 24 ottobre 1944. Deceduto a Mauthausen il 29 aprile 1945, matricola numero. 126531. Fonte la, convoglio 18. Il suo nome compare anche nell'elenco (4518 nominativi) di deportati italiani morti a Mauthausen, allegato al libro «Tu passerai per il Camino», di Vincenzo Pappalettera (Mursia 1965).

36        RACHELE LEA STERNER nata a Tarnopol (Polonia) l'U set­tembre 1889, figlia di Joseph e Sofìa Hassner, coniugata con Ma-nas (...). Ultima residenza nota: Fiume. Arrestata a Treviglio nel dicembre 1943. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 22 febbraio 1944. Deceduta in luogo ignoto dopo il 16 agosto 1944.

37        ISRAEL STOLZBERG nato a Kamionka (Polonia) il 05/09/1906

38        ADA TEDESCHI nata a Firenze il 3 febbraio 1883, figlia di Emanuele e Amalia Latis. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata ad Ambi vere il primo dicembre 1943 da italiani. Detenuta nel car­cere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli il 5 aprile 1944. Uccisa all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944. Fonte la, convoglio 09.

39        EMMA BIANCA TEDESCHI nata a Firenze il 13 febbraio 1887, figlia di Emanuele e Amalia Latis, coniugata con Guido Levi. Arrestata ad Ambivere il primo dicembre 1943. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli il 5 aprile 1944. Deceduta in luogo e data ignoti. Ponte la, con­voglio 09.

40        OSCAR TOLENTINI nato a Trieste nel 1884, è un maestro di canto, risiede a Milano,arrestato a Bergamo,  tradotto nel carcere di Milano, vi troverà la morte in stato di detenzione il 16/8/1944.

41        MARGHERITA VTTERBO nata a Torino il 9 giugno 1892, figlia di Gustavo e Amalia Levi, coniugata con Salvatore Levi. Ultima residenza nota: Milano. Arrestata a Nembro il 23 febbraio 1944 da italiani. Detenuta nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Deceduta in luogo e data ignoti. Fonte la, convoglio 09.

42        GIUSEPPINA WEINBERGER nata a Vienna il 25 ottobre 1878, figlia di Giuseppe e Carlona Spitz, coniugata con Marco Krys. Ultima residenza nota: Cosenza. Arrestata in provincia di Bergamo il (...) da italiani. Detenuta nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Uccisa all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944. Fonte la, convoglio 09.

43        GIUSEPPE WEINSTEIN è di origini cecolosvacche è nato Banov nel 1876, commerciante, arrestato a Bergamo,verrà deportato a Auschwitz. Sarà ucciso all’arrivo il 28/10/1944

44        HARRY ZENGER nato a Vienna (Austria) il 18 agosto 1937, figlio di Bernardino ed Elisabetta Haftel. Ultima residenza nota:

Cosenza. Arrestato in provincia di Bergamo il (...) da italiani. Detenuto nel carcere di Bergamo e nel campo di Fossoli. Deportato da Fossoli ad Auschwitz il 5 aprile 1944. Ucciso all'arrivo ad Auschwitz il 10 aprile 1944.


Deportati censiti come ebrei a Bergamo nel 1938, arrestati e deportati da altre città


45        GIUSEPPE MUGGIA nato a Busseto (Parma) il 25 aprile)I877 ;

figlio di Emilio e Cesira Basola, coniugato con Maria Ester Levi. Ultima residenza nota: Venezia. Arrestato a Venezia il 5 dicembre da italiani . detenuto nel carcere di Venezia e nel campo di Fossoli (Modena). Deportato da Fossoli il 22 febbraio 1944 ad Auschwitz. Ucciso all'arrivo ad Auschwitz il 26 febbraio 1944. Fonte Ib, convoglio 08.

46        FRANCA MUGGIA nata a Venezia il 15 aprile 1909, figlia di Giuseppe e Maria Ester Levi. Ultima residenza nota: Venezia. Arrestata a Venezia il 5 dicembre 1943 da italiani. Detenuta nel

carcere di Venezia e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli il 22 febbraio 1944 ad Auschwitz. Deceduta in luogo e data ignoti. Fonte Ib, convoglio 08.

47        MARIA ESTER ANNA LEVI nata a Treviso l’8 giugno1884, figlia di Perfetto e Giuseppina Coen. Ultima residenza nota: Venezia. Arrestata a Venezia il 5 dicembre 1943 da italiani. Detenuta nel carcere di Venezia e nel campo di Fossoli. Deportata da Fossoli il 22 febbraio 1944 ad Auschwitz. Uccisa all'arrivo ad Auschwitz il 26 febbraio 1944. Fonte Ib, convoglio 08.

48        SINIGALLIA LIVIA  nata a Milano il 24/06/1906, figlia di Mario e Emilia Jacchia

49        PIPERNO ODORICO nato Alessandria d’Egitto il 18/6/1911 figli di Menotti eValentina Benedetti
           
50        PIPERNO  RAMBALDO nato a Milano l’8/09/1930  figlio di Odorico Piperno e Livia Sinigallia

51        PIPERNO RENZO nato a Milano l’1011932 figlio di Odorico Piperno e Livia Sinigallia


Sono  molti gli episodi raccolti nelle memorie di ebrei fuggiti alla cattura grazie a numerosi atti di eroismo, grandi e piccoli di nostri concittadini.

I bergamaschi iscritti nell’elenco dei Giusti fra le nazioni sono : Lydia Gelmi Cattaneo, il capitano Benedetto de Beni, la famiglia Bonaiti di Calolzio.

Accanto a questi nomi va ricordata l’azione organizzata da reti quali quella dei gruppi giustizia e libertà o da sacerdoti come don Eugenio Bussa e Don Tranquillo dalla Vecchia, un elemento di rilievo nei gruppi che aiutavano ebrei, prigionieri di guerra e partigiani a nascondersi ed espatriare.

Ma accanto a questi nomi ne dovrebbero comparirne molti altri, perché furono molti che , anche rischio di gravose conseguenze e mettendo a repentaglio la loro stessa vita, agirono per salvare le vite di numerosi ebrei.

Riportiamo qui per tutte le due testimonianze apparse sull’Eco di Bergamo del 27/1/03

Testimonianza di Eurosia Frosio : Eurosia Frosio abita in viale Alle Fonti, a Sant'Omobono. Per decenni ha condotto l'albergo Moderno quando le terme di Sant'Omobono erano frequentate dai «signori», da gente che arrivava da ogni parte d'Italia e anche dall'estero. Eurosia ha 88 primavere sulle spalle, ma la mente è lucida, certi ricordi sono rimasti vivaci, ….

"Qui ce n'erano tanti di ebrei. Fino a un certo punto erano qui come confinati, io non ricordo di preciso quando. Poi li portavano via tutti e allora li abbiamo nascosti. Tanti siamo riusciti a salvarli, qualcuno no.

Li abbiamo nascosti anche nella chiesa, persino sul pulpito. Qualcuno non l'abbiamo salvato. Come quel bambino che aveva sei o sette anni ed era a scuola. Qualcuno fece una spiata, arrivarono le SS a scuola, fecero dire che c'era il papà per il bambino che si chiamava Haller. Purtroppo il bambino si alzò dal banco. Non l'abbiamo più visto. Andarono a prendere anche suo padre e sua madre. Ci dissero che vennero uccisi, a Bergamo. Chissà se è vero. Ma non sono più tornati»….

«Noi abbiamo nascosto qui una famiglia di ebrei, il Cassetti aveva su almeno venti persone, il Cefis altre due famiglie. A un certo punto gli ebrei erano nascosti anche nelle grotte come il Bus del Valù;

grazie al parroco don Filippo Longo, gli ebrei vennero nascosti anche nel campanile e persino sul pulpito, quello che c'era in alto, in chiesa, da dove il parroco predicava nell'ora della dottrina. Ne ha aiutati anche lui di ebrei. Una volta c'era un rastrellamento dei tedeschi, portavano via gli uomini del paese. Era domenica pomeriggio, c'era dottrina. Il parroco in bergamasco disse: "Tócc i omegn i e scàpe! Perché gh'è i todè-sc!" e il paese si fece deserto».

….La signora Eurosia è seduta al tavolo del soggiorno, …dice che la memoria vacilla, fa fatica, non ricorda bene. Ma non è vero. Racconta: «Ci sono stati tanti episodi, ma io ne ricordo pochi. Una volta ricordo che c'erano un giovane e una giovane…quel giovane e quella giovane parlarono con il Piero Moscheni che aveva i roccoli su alla Passata, dove c'è lo spartiacque fra la nostra valle e Carenno, la zona di Lecco. Seppi poi che il Moscheni li aveva aiutati a passare davvero a Lecco. Poi gli ebrei salivano in Valtellina e riparavano in Svizzera».

Realtà che sembra romanzo, fughe, terrori, ingiustizie terribili. «Un'altra volta - racconta Eurosia Frosio - era sera e l'albergo era chiuso, io penso fosse la primavera del 1944. Sentimmo bussare, aprimmo. C'era il Sami e con lui altre sette, otto persone, erano tutti ebrei. Ricordo che avevano le scarpe ai piedi e un altro paio in mano e mio papa li fece entrare e gli chiese che cosa facevano con le scarpe in mano. Il Sami ha risposto che servivano delle scarpe di riserva perché sarebbero fuggiti su per la montagna e per i boschi. Poi ricordo che mio padre riattizzò il camino per fare bollire l'acqua per preparare una camomilla, qualcosa per loro, ma loro gli dissero di spegnere subito perché altrimenti le SS avrebbero visto il fumo del camino e si potevano insospettire…. Noi in albergo avevamo una famiglia di quattro persone, papa, mamma e, i due figli, uno era ingegnere, l'altro studiava. Erano ebrei, erano ricchi, tutti gli ebrei erano molto ricchi. All'inizio erano qui e tutte le domeniche alle 10 dovevano andare a firmare in caserma. Dopo 1'8 settembre del 1943 la situazione è peggiorata e loro sono scappati. Avevano qui da noi quindici bauli. Quando scapparono, di notte, non presero con loro niente, hanno lasciato qua tutto e preso soltanto una borsa con soldi e oro. So che si salvarono, che arrivarono in Svizzera anche se gente della valle gli portò via la borsa. Noi gli nascondemmo i bauli in solaio, sotto la legna. So che si salvarono perché dopo la guerra tornarono a prendere la loro roba e restammo amici, mi mandarono un orologio d'oro per ringraziamento. Brava gente» 

Testimonianza di Fausto Asperti. Il ricordo di Fausto Asperti, 75 anni, conosciuto in città anche per la sua attività di fotografo come "Foto Express», riporta all'estate del 1944, all'ultimo anno di guerra. Siamo nel cuore di Bergamo, nella piazzetta Santo Spirito di Borgo Pignolo, In quell'estate, Fausto Asperti aveva 17 anni, abitava a Valtesse, sfollato

«Eravamo sfollati a Valtesse, dalla nonna, era estate. Ricordo perfettamente quel giorno. Tornai a casa improvvisamente, faceva caldo. Stavamo in piazzetta Santo Spirito. Aprii e vidi in casa mia dodici o tredici persone... Rimasi di stucco. Seppi poi che erano ebrei che la mia famiglia alloggiò in attesa che fuggissero verso la Svizzera… mio padre e mia madre non volevano coinvolgerci in queste vicende, l'ho capito dopo. Ricordo che facevo le scuole a Calmine e studiavo musica. Quel giorni mi accorsi che mi mancava un libro, uno spartito, non ricordo bene. Cosi presi la bicicletta e tornai nella mia casa della piazzetta, salii le scale, aprii la porta e vidi quella dozzina di ebrei. Dovevano essere tre famiglie, c'erano anche dei bambini. Si spaventarono, poi facemmo qualche parola. Erano di provenienza slava, venivano dalla Romania, dalla Jugoslavia, non ricordo bene. Scesi, andai a chiamare mio padre in pasticceria, lui mi portò su, mi presentò, disse che ero suo figlio, di non preoccuparsi. Ma soltanto dopo la guerra venni a sapere che erano ebrei. Mia madre restò in contatto con loro per molti anni, conservava le tre sterline d'oro che le donarono quando se ne andarono. Non so bene come fosse il meccanismo, ma penso che salissero in treno fino a Piazza Brembana e che poi scappassero in Svizzera attraverso il Passo di San Marco o qualcuno dei passi lì attorno».

Paolo Aresi , dall’Eco di Bergamo del 27/1/03

Fonti:

Articoli di Silvio Cavati,  Mauro Danesi e interviste di Paolo Aresi dall’ Eco di Bergamo del 17 genanio 2003 e 27 gennaio 2004

Silvio Cavati “EBREI A BERGAMO 1938-1945: la deportazione Parte Prima *- Studi e ricerche di storia contemporanea (rassegna dell’istituto ISREC”) n.60-dicembre 2004

Silvio Cavati “EBREI A BERGAMO 1938-1945: la deportazione Parte Seconda *- Studi e ricerche di storia contemporanea (rassegna dell’istituto ISREC”) n.61- gennaio  2005





I Campi fascisti

Campo P.G. n. 062 di Grumello del Piano




Storia

Il campo P.G. N. 62 di Grumello del Piano viene aperto nell'estate del 1941 in una località a pochi chilometri da Bergamo per internare prigionieri di guerra di grado inferiore (sottufficiali e truppa). Nel dicembre del 1942 ha una capienza dichiarata di 3.000 posti (vedi DPG28).

I primi dati sul numero degli internati disponibili dalla nostra ricerca sono quelli relativi al marzo del 1942, quando nel campo risultano presenti 2.640 prigionieri di guerra, tutti appartenenti al disciolto esercito jugoslavo. Lo specchio mensile li suddivide secondo le seguenti 'nazionalità': 1.046 serbi,  666 montenegrini, 720 italiani albanesi e annessi, 208 croati (vedi DPG04).

Il numero dei P.G. jugoslavi cala nei mesi successivi, fino ad arrivare a 1.718 il primo agosto del '42 (vedi DPG15).

Gli elenchi dei P.G. del mese successivo segnalano l'arrivo di altri prigionieri di guerra. Si tratta di 371 francesi degaullisti, cioè militari dei possedimenti francesi trasferiti a Grumello quasi sicuramente dai campi per prigionieri di guerra in Africa settentrionale (di solito passando prima per qualche campo P.G. contumaciale nel sud Italia).

Un altro arrivo di degaullisti avviene nel dicembre del 1942, quando diventano in tutto 523, portando così il numero complessivo di internati a 2.491 (vedi DPG29 e DPG30).

Nei mesi di gennaio e febbraio del 1943 arrivano a Grumello del Piano anche poco più di 900 prigionieri di guerra greci provenienti dal disciolto campo P.G. n. 95 di Cairo Montenotte, destinato ora all'internamento dei civili della Venezia Giulia (vedi PGCM06 e PGCM01).

Infine, almeno stando alla documentazione da noi consultata, che si ferma però al marzo del 1943, segnaliamo l'arrivo di prigionieri di guerra inglesi che ritroviamo per la prima volta nello specchio del mese di febbraio del 1943. Alla fine di quel mese gli internati del campo P.G. N. 62 sono 3.104 di cui: 1.380 ex jugoslavi [così suddivisi: 328 serbi, 109 croati, 759 albanesi, 88 montenegrini 73 nuovi italiani (sloveni dei territori annessi), 23 di altre nazionalità], 877 greci,165 inglesi, 85 sudafricani bianchi, 2 mediorientali, 280 degaullisti bianchi e 315 degaullisti di colore (vedi DPG33 e DPG34).

Ma i prigionieri di guerra britannici sono destinati ad aumentare nei mesi successivi. Da un telegramma del 4 aprile veniamo a sapere che 730 pg inglesi sono stati trasferiti dal campo di Gravina a quello di Bergamo (vedi PGGP06).

Non tutti i prigionieri però risiedono nel campo di Grumello. Molti di loro sono assegnati ai diversi distaccamenti di lavoro dipendenti dal campo centrale P.G. N. 621.

Questo è l'elenco dei distaccamenti di cui abbiamo trovato conferma nei documenti:


Altri distaccamenti - di cui però dobbiamo ancora verificare l'effettiva esistenza - emergono dalle richieste avanzate dalle imprese e società e approvate dall'Ufficio prigionieri di guerra (ma non sempre ad una approvazione corrisponde poi l'effettiva apertura di un distaccamento).

E' il caso dello stabilimento della SNIA Viscosa di Cesano Maderno (vedi PGGR08), della Falk di Sesto San Giovanni (vedi PGGR10) e della società S.P.A.I. di Milano (vedi PGGR18).

Oltre ad essere il campo base per molti distaccamenti di lavoro, quello di Grumello del Piano è anche un serbatoio di mano d'opera da inviare in altri campi di lavoro per prigionieri di guerra.

Il 15 marzo 1942 partono dal P.G. N. 62 100 prigionieri di guerra per il campo di lavoro P.G. N. 115 di Morgnano a disposizione della Società Anonima Terni (vedi PGGR02)2.

Il 5 maggio 1942, un nucleo di 200 prigionieri di guerra di Grumello va a costituire la forza di lavoro del campo P.G. N. 113 di Avio, in provincia di Trento (vedi PGAV01)2.

E ancora, il 22 maggio del 1942 il campo invia - con la solita raccomandazione di "scegliere elementi che diano affidamento per condotta e disciplina [in modo] da non dar luogo ad inconvenienti", 50 prigionieri di guerra al campo P.G. N. 55 di Busseto (da inviare poi in un distaccamento di lavoro agricolo) (vedi PGGR03).

Infine, ci sono dei legami anche tra il campo di Grumello e il P.G. N. 110 di Carbonia (altro campo di lavoro in cui la maggioranza dei prigionieri appartiene al ex esercito jugoslavo). Anche se non c'è una conferma ufficiale, quasi sicuramente da Grumello partono 150 P.G. serbi che vanno ad ingrossare le fila dei prigionieri a disposizione della società Ferrobeton che sta costruendo una diga sul Flumendosa a Villagrande Strisaili (distaccamento del campo P.G. N. 110 di Carbonia ( (vedi DST05).

Certa è invece l'assegnazione al distaccamento di Mussolinia (l'attuale Arborea), sempre dipendente dal campo di Carbonia,  di 100 prigionieri di guerra di nazionalità jugoslava tratti dal campo P.G. N. 62 (vedi DCB10 dove si parla erroneamente di Littoria, anziché di Mussolinia).

Poche invece le informazioni riguardo le condizioni di vita dei prigionieri di guerra internati a Grumello e nei distaccamenti dipendenti.

Il 28 maggio del 1942 oltre cento prigionieri di guerra (in quel periodo dai nostri dati nel campo risultano solo internati jugoslavi) vengo ricoverati all'ospedale di Piacenza "per deperimento organico, di cui la causa principale sarebbe da attibuirsi alla riduzione della razione viveri". Non solo, ma nel documento citato si dice anche dell'improvviso decesso di due prigionieri di guerra del campo (vedi PGGR05).

Molto probabilmente i prigionieri di guerra jugoslavi non ricevono gli aiuti della Croce Rossa Internazionale, non avendo più un paese che li tuteli (ma su questo aspetto la nostra ricerca è ancora in corso).

E' certo invece che il Ministero della Guerra con la circolare n. 2064/2595 del 23 febbraio 1942 ha ridotto la razione di pane che spetta ai prigionieri di guerra (vedi P065) (per le razioni precedenti vedi P011). Decisione che viene ribadita qualche mese dopo specificando che la riduzione si applica anche ai prigionieri impiegati in lavori manuali all'interno dei campi (vedi P067).

Sul campo P.G. N. 62 di Grumello del Piano, è disponibile uno dei rari studi sui campi italiani per prigionieri di guerra durante il secondo conflitto mondiale: The Tower of silence. Storie di un campo di prigionia. Bergamo 1941 - 1945, di Mauro Guelfi, Giorgio Marcandelli, Alberto Scalzi e Francesco Sonzogni.

E' una ricerca importante che racconta con molti documenti e testimonianze la storia del campo. Descrive in maniera dettagliata la sua struttura (di fatto c'erano due distinti luoghi, uno per gli jugoslavi e greci e un altro per gli alleati), sottolinea la presenza nel campo anche di internati civili, integra in maniera sostanziale la lista di distaccamenti di lavoro (descrivendo l'impiego dei P.G., ad esempio, nelle cascine dei contadini), ricostruisce il ruolo avuto dal comandante del campo, il colonnello Francesco Paolo Turco, e molto altro ancora.

Nel testo è anche citata la tesi laurea (da noi non ancora consultata) Prigionia, internamento e crimini di guerra. Il campo della Grumellina a Bergamo, di Lia Cornia (a.a. 2007 - 2008).

Tipo di campo
campo per prigionieri di guerra da agosto 1941 a 8 settembre 1943
Fonte: DPG27 GEL1

Numero campo prigionieri di guerra
P.G. 62

Numero posta militare
P.M. 3200

Funzione
lavoro obbligatorio p.g.

Tipologia di internati
P.G. per sottufficiali e truppa
P.G. francesi-degaullisti
P.G. inglesi
P.G. ex jugoslavi
P.G. greci
P.G. sudafricani
P.G. mediorientali
Fonte: DPG04 DPG10 DPG18 DPG23 DPG33

Alle dipendenze di
Regio Esercito. Difesa Territoriale di Milano da agosto 1941
Fonte: DPG27

Comandante
Francesco Paolo Turco Colonnello da maggio 1941 a 8 settembre 1943
Fonte: GEL1

Numero internati
2.640 P.G. il 1 marzo 1942
Fonte: DPG04
2.561 P.G. il 1 aprile 1942
Fonte: DPG07
2.523 P.G. il 1 maggio 1942
Fonte: DPG08
2.300 P.G. il 1 giugno 1942
Fonte: DPG10
2.029 P.G. il 1 luglio 1942
Fonte: DPG13
1.781 P.G. il 1 agosto 1942
Fonte: DPG15
2.282 P.G. il 1 settembre 1942
Fonte: DPG17 DPG18
2.283 P.G. il 30 settembre 1942
Fonte: DPG23 DPG24
2.128 P.G. il 30 novembre 1942
Fonte: DPG25 DPG26
2.491 P.G. il 31 dicembre 1942
Fonte: DPG29 DPG30
2.814 P.G. il 31 gennaio 1943
Fonte: DPG31 DPG32
3.104 P.G. il 28 febbraio 1943
Fonte: DPG33 DPG34
3.097 P.G. il 31 marzo 1943
Fonte: DPG35 DPG36

Numero decessi nel campo
2 prigionieri di guerra nel maggio 1942
Fonte: PGGR05

Causa dei decessi
insufficiente alimentazione
Fonte: PGGR05

Questo è l'elenco dei distaccamenti di cui abbiamo trovato conferma nei documenti:


Nel testo è anche citata la tesi laurea (da noi non ancora consultata) Prigionia, internamento e crimini di guerra. Il campo della Grumellina a Bergamo, di Lia Cornia (a.a. 2007 - 2008).


---------------------------
1 L'ufficio prigionieri di guerra dello Stato Maggiore del Regio Esercito emette ogni quindi giorni degli specchi riassuntivi di tutti i campi P.G. in cui è specificato per ciascun luogo il numero di prigionieri divisi per nazionalità e grado.


note
La ricerca sui campi italiani per prigionieri di guerra è ancora in corso (novembre 2012).

Le informazioni qui riportate sono tratte da alcuni documenti conservati presso l'Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell'Esercito e riguardano solo il periodo che va da marzo 1942 a marzo 1943.

Tratto da http://campifascisti.it/scheda_campo.php?id_campo=135




-----------------------------------

Storia della guerra Bergamo-Brescia
(iniziò per colpa di un bresciano)






L’inizio della rivalità (per colpa di un bresciano). Il campanilistico antagonismo tra le due realtà lombarde è di vecchia data, e ben più radicato di un confronto calcistico. Per la precisione, si deve risalire al Dodicesimo secolo. Nel 1126, infatti, tal Giovanni Brusati da Brescia mise all’asta le sue proprietà per finanziare la sua crociata in Terra Santa. Ma la curia bresciana non se la passava troppo bene a livello economico e dovette rinunciare all’acquisto dei possedimenti, che furono venduti alla città di Bergamo. Così, la cessione dei feudi di Volpino, Ceratello e Onalino (ciascuno col proprio bel castello, e per di più di importanza strategica) scatenò feroci proteste che sarebbero durate per i decenni successivi. La curia di Brescia, infatti, contestò l’acquisizione da parte di Bergamo, la quale per pronta risposta riempì i castelli di truppe per manifestare l’assoluta volontà di non cedere alle pretese bresciane. Arbitro della controversia, dopo quasi 30 anni di schermaglie, fu l’imperatore Federico I Barbarossa che – nel 1154 – sentenziò la restituzione dei terreni del Brusati alla curia bresciana.
La prima vera battaglia (colti alla sprovvista). I bergamaschi all’inizio si sottomisero alla decisione dell’Imperatore, ma passò poco tempo prima che riprendessero le scaramucce militari sul confine. Fino a che, nel 1156 fu dichiarata ufficialmente guerra. Le truppe bresciane attraversarono i confini bergamaschi e si accamparono a Palosco, in località Grumore, determinati a sferrare un attacco il giorno successivo. I bergamaschi si prepararono ad ingaggiar battaglia. Prima dell’alba, però, i bresciani li colsero di sorpresa, sostanzialmente ancora dormienti. La sconfitta, con la perdita di 2500 uomini per l’esercito di Bergamo, fu accompagnata dalla distruzione del castello di Palosco e dal furto del gonfalone di Sant’Alessandro. Una sonora sconfitta dei bergamaschi che portò ad una tregua, siglata presso la chiesa di San Michele tra le Mura a Telgate: i bergamaschi si impegnavano a rinunciare a qualsiasi pretesa sui terreni oggetto della disputa.
  
La seconda battaglia (fu una carneficina). Lo scontro tra la Lega Lombarda e l’imperatore Barbarossa, culminato con la vittoria di Legnano nel 1176, sembrava aver interrotto le diatribe tra bergamaschi e bresciani. Ma la pace durò solo fino al 1191. Oggetto del contendere ovviamente i soliti territori di confine lungo il Sebino (quelli di cui sopra). Fu ingaggiata battaglia a Rudiano (rinominata emblematicamente “della Malamorte”); gli schieramenti si disposero sulle rive opposte del fiume: i bergamaschi, alleati coi cremonesi, tra Telgate e Palosco, mentre i bresciani, affiancati dai milanesi, a Palazzolo. I soldati orobici attraversarono l’Oglio con un ponte di barche preparato nella notte e ricambiarono la gentilezza della battaglia di Palosco, con un attacco a sorpresa.
Ma finì uguale a prima, perché, nonostante i bergamaschi si stessero facendo onore, arrivò sul campo di battaglia un comandante bresciano, tal Biatta di Palazzo, con alcune truppe di riserva: bergamaschi e cremonesi li scambiarono per il potente esercito milanese (che in verità non fece mai la sua comparsa) e si ritirarono in fretta e furia sullo stesso ponte di barche da cui erano venuti. Che però – la sfortuna – cedette sotto il peso delle truppe in rotta e molti furono i morti annegati. I rimanenti, quelli in salvo sulla riva, furono sterminati dai bresciani.
Si dovette attendere la fine del 1191 per arrivare ad una definitiva pacificazione delle due città, grazie all’intervento dell’imperatore Enrico VI, figlio del Barbarossa, che decretò la restituzione dei territori contesi a sud del Lago d’Iseo (Sarnico, Moro e Caleppio) ai bergamaschi, e il passaggio di quelli in Valle Camonica (Volpino, Qualino, Ceratello) a Brescia.
La rivincita bergamasca? Qualche manciata di decenni dopo, nel contesto delle guerre tra Guelfi e Ghibellini per la successione al trono imperiale del Dodicesimo secolo, Bergamo riuscì, almeno in parte, a vendicare l’onta subita. A fianco di Federico II, i bergamaschi ottennero una vittoria schiacciante nella battaglia di Cortenuova nel 1237, quando l’imperatore si schierò contro le città della seconda Lega Lombarda (Brescia compresa), che erano appoggiate dal papato. E pazienza se non ebbero l’esclusiva della vittoria.
Tratto da http://www.bergamopost.it/occhi-aperti/storica-rivalita-bergamo-brescia-quando-era-guerra-vera/
18 aprile 2016

-------------------------

Il castello perduto del Canto Alto

quando il monte si chiamava Pizzidente




I resti vennero alla luce durante il 1979, nei lavori di ripristino della grande croce di 32 metri
Si trattava di un fortilizio che ospitava dieci soldati ed era parte del sistema difensivo di Bergamo.

Sulla cima del Canto Alto un tempo c’era un castello. È una storia molto antica, riaffiorata dopo un lungo oblio, come spesso accade, durante gli scavi per la costruzione di un monumento:  la croce che da 35 anni domina dall’alto le terre bergamasche, in un punto dal quale si gode di un bellissimo panorama, fatta di un traliccio metallico, alta 32,5 metri, opera dei gruppi locali dell’Associazione nazionale alpini. Dall’inizio del Novecento c’erano state altre due croci, la prima costruita nel 1902, con un basamento in muratura e una cappella, andata in rovina nel giro di mezzo secolo, infine distrutta da un forte temporale nel 1948; la seconda fu eretta nel 1952, dedicata ai caduti delle guerre mondiali; anche questa, colpita ripetutamente da fulmini, a un certo punto crollò.
Ed ecco quindi, nel 1979, i nuovi lavori per la terza croce: e fu allora che affiorarono i resti di un’antica fortezza. I resti di un muro composto da sassi legati con calce, e più sotto ancora, come scrive Dante Pacchiana nel numero 41 del «Notiziario di Poscante», una protezione di mattoni di grossolana fattura. La ricerca proseguì e portò alla luce una struttura complessa: non una semplice torre, ma un edificio con più stanze, che poteva ospitare un presidio militare anche per un lungo periodo. A confermarlo la scoperta nel muro antico di una struttura particolare, che rivela l’esistenza di una cisterna.
È una manichetta con l’interno accuratamente rivestito di calce che convogliava l’acqua piovana nel serbatoio sotterraneo. «Gli antichi costruttori - spiega Pacchiana - usarono i mattoni per costruire questa cisterna alla quale, data la sua importanza per il soggiorno del presidio di uomini, venne riservata una cura particolare ». La vetta del Canto Alto era l’ideale per costruire una fortezza militare: «È una cima particolarmente frequentata - chiarisce Tarcisio Bottani, storico locale -, per la facilità d’accesso, grazie alla vicinanza alla città di Bergamo e per il notevole panorama che si può godere nelle giornate migliori.
Per la sua posizione strategica, come punto di  osservazione sulle vie di comunicazione fra Valle Brembana e Valle Seriana, nel corso del  medioevo la cima fu presidiata con un fortilizio, prima semplice torre di avvistamento in legno, poi struttura più ampia, in muratura, con una guarnigione di dodici uomini». La costruzione della fortezza sul Pizzidente, come si legge nel volume «In Canto. Storia, natura ed itinerari del Canto Alto» di Lucio Benedetti, Chiara Carissoni, Claudio Gotti, avvenne nel Trecento, nel  periodo delle guerre guelfo-ghibelline. Allora Poscante, con Endenna, era di parte guelfa,  mentre a Stabello e Sedrina dominava il partito ghibellino.
A Zogno i guelfi occupavano la parte alta del paese (Sonzogno) e i ghibellini quella bassa. A distruggere una prima volta il  castello di Pizzidente, nel 1362, fu Merino Dall’Olmo, considerato il principale punto di  riferimento dei guelfi della media Valle Brembana, capo di una cosiddetta «Compagnia dei  guelfi della città e del contado». La sua ricostruzione in muratura fu ordinata nel 1383 dal  governatore di Bergamo Rodolfo Visconti, figlio di Bernabò, signore dello Stato di Milano. Contemporaneamente il governatore stanziò anche la somma necessaria alla costruzione del castello di Cornalba sopra Brembilla.
Per costruire entrambe queste fortificazioni servirono 9200 lire rimborsate poi dai bergamaschi l’anno successivo con il pagamento obbligatorio di una tassa sul sale. Queste due fortezze davano alla popolazione locale, desiderosa di pace, un senso di sicurezza: anche se si trattava di costruzioni modeste nella fantasia della gente diventavano baluardi inespugnabili del potere centrale contro i nemici esterni e i signorotti prepotenti. Nel periodo della dominazione viscontea tutto il territorio bergamasco era  organizzato militarmente con un sistema di presidi «collegati a vista». A nord della città il castello di Pizzidente (l’antico nome del Canto Alto), che in realtà non era una costruzione dotata di portone e merlature ma assomigliava di più al casello di un grande roccolo, formava un quadrilatero con quelli di Zogno, Ubione e Cornalba.
A sud della città c’erano invece le case fortificate dei Pilis, della Luvrida e della Moretta. Il Canto Alto aveva un posto importante in questa «cintura difensiva». Come vivevano i soldati nelle fortezze? In tempo di pace (si legge sempre nel volume «In Canto») i soldati delle guarnigioni disseminate sul territorio bergamasco avevano l’incarico di controllare i paesi e le strade, avvistare movimenti di truppe avversarie, trasmettere messaggi o segnali codificati, catturare spie nemiche, vigilare sul transito di merci di contrabbando che evadevano i dazi doganali, respingere malati o appestati per evitare il contagio, reprimere rivolte. Sovente per vincere la noia giocavano partite a dadi, a carte, alla morra.
Il castello di Pizzidente fu distrutto definitivamente all’inizio del XV secolo, e non più ricostruito. Con l’occupazione veneta e l’introduzione delle armi da fuoco cambiò il modo di combattere, quindi queste fortezze persero la loro importanza strategica, divennero talvolta ricoveri per il bestiame, e poi, lentamente, scomparvero.
Tratto da http://gppzogn.blogspot.it/2014/10/il-castello-perduto-del-canto-alto.html
------------------------------------------ 

I MINATORI DELLA VALLE DEL RISO
DEPORTATI IN GERMANIA

 
IL 27 GENNAIO 2016 VERRANNO CONSEGNATE DALLA PREFETTURA IN S.AGOSTINO 16 MEDAGLIE D’ONORE AI MINATORI DELLA VALLE DEL RISO DEPORTATI IN GERMANIA NEL CAMPO DI LAVORO DI KAHLA IN TURINGIA


Il rastrellamento


L’11 aprile 1944 a Campello , il villaggio minerario di Gorno , in una retata da parte dei tedeschi molti minatori gornesi e onetesi vennero caricati su un camion e portati fino alla stazione ferroviaria di Ponte Nossa; da qui con il treno furono deportati in Germania. A quell’epoca le miniere erano gestite dalla S.A. Nichelio e Metalli – Gruppo di Gorno, facente parte del gruppo A.M.M.I.


I minatori di Gorno deportati in quell’occasione (salvo omissione involontaria) furono: Cabrini Martino (classe 1923), Cabrini Giulio (1925), Cabrini Palmino (1925), Calegari Giulio (1920), Calegari Pierino (1923), Gibellini Gino (1925), Gibellini Luigi (1926), Gibellini Pierino (1924), Grassenis Maurizio (1923), Guerinoni Sperandio (1925), Maringoni Lino (1924), Perani Alberto (1925), Poli Stefano (1924), Quistini Emilio (1923) Quistini Pietro (1925), Quistini Pietro (1926), Quistini Sperandio (1925), Serturini Giovanni Pietro (1921), Varischetti Giacomo (1925), Varischetti Pietro Giuseppe (1916) e Zanotti Emilio (1921); quelli di Oneta furono: Epis Giacomo (classe 1923), Pizzamiglio Gabriele (1924), Poli Ettore (1923), Rodigari Giovanni (1923) e Borsari Giuseppe (1921), di Chignolo d’Oneta).
Qualcuno però riuscì a fuggire. Quando l’autocarro giunse alla curva a gomito prima dell’abitato di Fondo Ripa, dove c’è la santella “Regolini” ed inizia il sentiero che porta alla chiesa parrocchiale, alcuni minatori riuscirono a scendere e rimasero sdraiati per terra. Non appena il camion scomparve oltre le case risalirono lungo il sentiero verso la parrocchiale, quindi si dispersero andando a rifugiarsi in luoghi diversi.
Il campo di lavoro di Kahla
Gli altri minatori invece vennero tutti deportati nei campi di lavoro di Kahla, una cittadina della
Turingia, e messi a lavorare in un impianto industriale ospitato in gran parte in gallerie sotterranee scavate sotto l’altura di Walpersberg, in vecchie miniere di sabbia per porcellana, dove dall’aprile 1944 vennero realizzati i primi aerei a reazione Messerschmitt Me 262.
La maggior parte dei deportati “rastrellati” a Campello furono assegnati al campo di Rosengarten.
I campi di lavoro di Kahla erano dieci ed erano distinti in “costruttivi” e “ produttivi”. Le condizioni di vita erano peggiori nei campi “costruttivi” ove erano internati i nostri minatori, impiegati nella costruzione di gallerie. Sino al termine della guerra ne sarebbero state scavate 75 e per uno sviluppo di 32 chilometri e una superficie di circa 10.000 metri. Nei campi “produttivi”, ove erano internati gli operai che costruivano gli aerei, la vita era un po’ meno grama.
Nei campi di Kahla lavoravano 15.000 circa persone e le morti per stenti, fame (il pane era composto di segale e segatura di pioppo) e maltrattamenti furono 6.000 circa. Gli internati dovevano compiere tutte le mattine un tragitto a piedi di 6 km per arrivare sul posto di lavoro, che iniziava alle sei e durava sino a dodici ore; ogni tre o quattro ore avevano pochi minuti per mangiare un tozzo di pane ed alla sera ritornavano nelle camerate stanchi ed affamati. Ma questo era nulla in confronto alla violenza dei sorveglianti.
Nel marzo 1945, nell’imminenza dell’arrivo degli Alleati, per gli operai di Kahla fu emessa una
sentenza di morte. Dovevano essere portati tutti nelle gallerie, poi gli imbocchi sarebbero stati fatti saltare. L’incarico venne dato a un maggiore della Luftwaffe, Georg Poltzer, il quale però non eseguì l’ordine, probabilmente per un freddo calcolo. Le truppe americane erano già vicine, la guerra era ormai persa, e di questo grave crimine avrebbe dovuto rispondere a un tribunale alleato.
Giusto un anno dopo che i nostri minatori erano stati “rastrellati”, l’11 aprile 1945 i tedeschi
evacuarono i campi. I prigionieri vennero fatti marciare per giorni e notti senza una meta apparente, sotto la sorveglianza armata della milizia popolare nazista con cani poliziotto.
 La liberazione
Nel frattempo tra il l2 ed il 13 aprile l’intera zona di Kahla era caduta in mani Alleate. Una mattina al risveglio i prigionieri non trovarono più le guardie, erano stati abbandonati. Ben presto però incontrarono delle truppe americane.
Il ritorno a casa dei nostri deportati avvenne poi in tempi diversi: chi a giugno, chi a luglio ed agosto del 1945.

Grassenis Maurizio nel 1987 ha lasciato una testimonianza che si riporta integralmente: “Il sottoscritto Grassenis Maurizio nato il 14.9.1923 a Oneta, residente a Gorno in via Lungo Riso, dichiara di essere stato deportato civile in Germania e internato nel campo di concentramento di Kahla, Turingia. La partenza avvenne in data 11 aprile 1944. La prigionia ha avuto la durata di 16 mesi. Durante la suddetta prigionia sono stato costretto a svolgere un’attività lavorativa giornaliera di 11 ore per la costruzione sotterranea di uno stabilimento. Dichiaro inoltre che l’alimentazione era insufficiente e il trasferimento giornaliero di noi prigionieri dal campo di concentramento alla zona di lavoro e viceversa avveniva sotto strettissima sorveglianza di unità di Polizia Tedesca. Data la scarsa nutrizione e le cattive condizioni ambientali e di vitto molti dei miei compagni persero la vita. Ad avvalorare questa mia dichiarazione, se richiesto, posso fornire le testimonianze dei miei compagni che hanno con me condiviso questa prigionia e che tuttora vivono nel mio paese”.
 L’ex voto al Ss. Crocifisso
Tutti i deportati gornesi ritornarono alle loro famiglie, tant’è vero che fecero realizzare un “ex voto”, tuttora conservato al santuario del S.S. Crocifisso; il quadro riporta questa iscrizione: “Dalla dura prigionia tedesca tra immensi pericoli liberati e condotti in patria questi giovani di Gorno sciolsero al divin Crocifisso l’espressione devota della loro eterna riconoscenza”.
Ma quante volte durante la prigionia le loro mamme e sorelle si erano recate a piedi scalzi al “Crocifisso”, invocando l’aiuto del Signore per la loro liberazione. Anche tutti i deportati di Oneta fecero ritorno alle loro case.
Durante la prigionia nei campi di concentramento di Kahla i nostri minatori ebbero l’occasione
d’incontrare un altro deportato, gornese non di nascita ma d’adozione, Consoli Ulderico, che purtroppo vi perse la vita.
Quanto scritto trova riscontro anche in quanto riferito dal deportato Calegari Pierino, recentemente scomparso.

Oltre ai minatori deportati, in quegli anni altri giovani della nostra valle vennero tenuti prigionieri in campi di concentramento tedeschi. Si ricordano: Gibellini Mosè (classe 1922) nel campo di Ammer, Serturini Mario Antonio (1924) a Buchenwald, Guerinoni Giovanni Angelo (1922) e Corlazzoli Benvenuto (1915) ad Amburgo, Guerinoni Emilio Mario (1916) a Ermestein, tutti di Gorno e Borlini Giuseppe (classe 1923) di Chignolo d’Oneta a cui venne minacciato l’incendio della casa qualora non si fosse consegnato ai tedeschi.
 Il riconoscimento morale dello Stato Italiano del sacrificio



La legge 296 del 27/12/06 articolo 1 commi 1271-1276 “della Repubblica Italiana riconosce a titolo di risarcimento , soprattutto morale , il sacrificio dei propri cittadini deportati ed internati nei Lager nazisti nell’ultimo conflitto mondiale” e prevede la concessione di una medaglia d’onore a tutti gli internati ancora in vita, o se deceduti, ad uno dei suoi familiari che inoltrerà la richiesta a nome e per conto degli altri familiari.
Il legislatore italiano, dopo aver sancito che “la Repubblica italiana riconosce, a titolo di risarcimento soprattutto morale, il sacrificio dei propri cittadini deportati ed internati nei lager nazisti nell’ultimo conflitto mondiale” ha individuato nella “medaglia d’onore” un opportuno riconoscimento simbolico.
La consegna della onorificenza ai superstiti o alle loro famiglie è stata idealmente collegata ed ha luogo alla data del 27 gennaio, “Giorno della Memoria”, istituito con la legge del n. 211 del 20 luglio 2000, approvata  all’unanimità da tutte le forze politiche per ricordare lo sterminio e le persecuzioni del popolo ebraico e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti e rendere omaggio alle numerose vittime, nonché a tutti coloro che, a rischio della propria vita, si sono opposti al progetto di sterminio nazifascista, salvando vite umane e proteggendo i perseguitati: in tale data, infatti, si commemora il 27 gennaio del 1945, quando i soldati dell’Armata Rossa entrarono nel campo di concentramento di Auschwitz abbattendo i cancelli del più esteso luogo di sterminio nazista.
La richiesta delle onoreficenze
Alla luce di tutto quanto sopra detto l’ associazione culturale “Le officine del Grem 1.0”, si è fatta promotrice della ricerca dei nominativi dei compaesani di Gorno, deportati ed internati nei lager e campi di lavoro nazisti , e della successiva raccolta ed inoltro , per conto dei parenti interessati ;sono state raccolte 28 richieste di concessione della medaglia d’onore all’Illustrissimo Presidente del Consiglio dei Ministri come da legge sopracitata.
Nel 2014 è stata fatta la ricerca e nel 2015 sono state istruite ed inoltrate le 28 domande .
A novembre del 2015 ci è stata confermata la concessione di 16 benemerenze che verranno consegnate ai parenti durante la cerimonia organizzata dalla Prefettura di Bergamo il prossimo “Giorno della Memoria “, 27 Gennaio 2016 in S.Agostino , Città Alta di Bergamo
alle ore 16 .
La nostra associazione organizzerà poi un incontro a Gorno dove verranno ricordate non solo le 16 medaglie d’onore assegnate ma anche tutti gli altri deportati Gornesi che per motivi esclusivamente burocratici (ad es. la mancanza di documentazione scritta) non hanno visto accolta la domanda di concessione della benemerenza; durante l’incontro verrà proiettato un docufilm centrato sulla deportazione nel campo di lavoro di Khala teatro dei patimenti dei minatori di Gorno internati nel 1944-45 e presentato da una associazione di Como autrice del documentario , sono già state coinvolte le scuole del Paese che saranno invitate a portare il loro lavoro , una loro ricerca sul tema e sarà sentita anche una ricercatrice di Gorno che sta svolgendo una tesi proprio su questo triste avvenimento.
 Per non dimenticare
L’Associazione culturale “Le Officine del Grem 1.0” è orgogliosa di aver organizzato questa iniziativa per ricordare il sacrificio fatto dai nostri Cari compaesani Gornesi in un momento tristissimo della vita della nostra Patria .
Ma perché raccontare queste vicende? Si, sono passati ormai settant’anni, ma storie come queste vanno sempre ricordate, perché devono essere strappate all’oblio. E lo si può fare solo in questo modo:raccogliendo le testimonianze, custodendole con cura e facendole conoscere a più gente possibile, in modo che più nessuno possa dire come allora “Io non sapevo”.
----------------------------

I ragazzi di don Eugenio Bussa
Il ricordo degli oltre 300 ragazzi ospitati a Serina 
dal 1943 al 1944


Durante gli ultimi anni di guerra, tra il 1943 e il 1944, Milano fu duramente bombardata dall’aviazione alleata. Obiettivi, oltre ai nodi strategici e militari, vi furono anche vere e proprie incursioni di carattere , “terroristico” che  colpirono scuole e abitazioni. 
Migliaia di scampati a queste tragedie, sfollarono dalla città cercando rifugio in località che, a loro giudizio, non avrebbero rappresentato pericoli perché lontane da centri industriali o da basi militari.
Molte famiglie milanesi trovarono ospitalità nei paesi delle valli bergamasche e, in molti casi, per necessità di lavoro lasciarono i propri figli presso famiglie o Istituti religiosi che si presero cura dei ragazzi e ragazze sino a guerra finita.
In alcuni di questi Istituti, ad esempio in quel di Selvino, fu data ospitalità in  gran segreto a famiglie e bambini di religione ebraica, sottraendoli alla triste sorte di essere deportati nei campi di sterminio.
Serina, capoluogo dell’omonima valle, fu una delle principali mete di questi transfughi in quanto, nel periodo pre bellico, molti milanesi vi soggiornavano nel periodo estivo.
Tra l’inizio del 1943 e sino a fine guerra, l’oratorio di Serina ospitò oltre 300 ragazzi sottratti, in tal modo, ai pericoli che inevitabilmente avrebbero corso rimanendo in città.


 
Alcuni immagini che sono sopravvissute al tempo testimoniano l’affollamento dell’Oratorio di Serina in quegli anni e i sacerdoti ed i laici che hanno provveduto alle loro esigenze in tutto quel tempo.


Ne citiamo alcuni, probabilmente non tutti coloro che collaboravano, quali ad esempio  don Eugenio Busa, padre U. Vivarelli, don Alfredo Seveso e il signor E. Vismara.
Ma anche l’intera comunità serinese, nonostante le ristrettezze economiche dovute agli eventi bellici, e la guerra partigiana con le conseguenti retate compiute dalla polizia fascista e dalle truppe tedesche, ebbe un importante ruolo nel mantenere il senso di ospitalità nei confronti di coloro che erano in situazioni ben peggiori delle loro.


Da parecchi anni, un autobus parte da Milano carico, sebbene di anno in anno aumentino i posti vuoti, e sale a Serina: sono i “ragazzi del 1943” che vogliono rivedere i luoghi ove trascorsero con relativa tranquillità e sicurezza nel periodo più brutto e periglioso della seconda guerra mondiale.
Prima di sostare a Serina, l’autobus passa da Cornalba per commemorare i partigiani caduti proditoriamente in quegli anni nella difesa della libertà e della democrazia, contro l’invasore tedesco e il lacchè fascista italiano.

Gallicus
---------------
Da Zambla all'Hotel immigrati. In Argentina

Il diario di due fratelli partiti per il Sudamerica negli anni Trenta


«Il giorno otto gennaio 1931 di mattina presto siamo partiti dalla nostra casa situata in Zambla Alta per prendere il treno in Val Seriana alla stazione di Ponte Nossa, distante otto chilometri più o meno, camminando con una valigia di circa quindici chili. Partimmo da casa simulando contentezza di andare in America, assicurando alla mamma che saremmo ritornati dopo due anni o al massimo tre. Lungo la strada per la stazione parlammo molto poco. Continuavamo a camminare e il cuore ci si riempiva di pentimento per aver deciso di partire per una America di cui molto poco avevamo sentito parlare. Solamente il commento di alcuni (che ne sapevano tanto quanto noi!...), secondo i quali in Argentina si guadagnavano soldi facilmente e il lavoro abbondava dappertutto. Con queste cose in testa, decidemmo di partire...».

Comincia così - dopo i testi introduttivi di don Mario Rizzi e Antonio Carminati - il memoriale di Agostino e Francesco Tiraboschi: due fratelli partiti da Bergamo all'alba degli anni Trenta alla ricerca di un futuro migliore Oltreoceano.

Ora pubblicato dal Centro Studi Valle Imagna e dall'Ufficio Migranti della Diocesi di Bergamo, il libro racconta una delle migliaia di storie comuni a tanti emigranti di casa nostra, almeno sino a due generazioni fa: prima che da terra di partenza anche le nostra provincia diventasse meta di immigrazione. Dato conto, nome dopo nome, di tutti i destinatari dei saluti, e di un distacco struggente, le pagine ripercorrono innanzitutto le tappe del viaggio.



Da Bergamo - dove ai fratelli Tiraboschi si aggiungono altri due conterranei - a Genova (con la prima notte trascorsa fuori «in una sala sporca, sporca»), quindi in nave («era la prima volta che vedevamo tanta acqua!») a Napoli («non capivamo una parola, pur essendo ancora in Italia, come sarebbe stato più avanti?»). E da qui, attraversato, l'oceano, dopo due soste a Rio de Janeiro e a Santos, l'approdo a Buenos Aires. «Era il giorno 4 febbraio 1931. Da sopra la nave guardavamo la grande città. Sbarcammo e ci condussero all'Hotel degli Immigranti...», registra il diario che così continua: «I letti erano pieni di cimici e di pidocchi, senza lenzuola il pranzo era molto cattivo e il cibo di un sapore strano...».




Poi i ventisette grandi fogli vergati fitti, registrano gli spostamenti dei due in quel nuovo mondo, magari non sempre ostile, ma assai disinteressato ai loro problemi, inconsapevole del carico tragico che schiaccia anime e corpi. Come rivela una delle frasi più emblematiche del memoriale: «Bisogna trovarsi in queste condizioni, per sapere quanto grande sia la tristezza di una persona, quando gli manca la speranza di raggiungere una cosa assolutamente necessaria e urgente...».

Una speranza che i due rincorrono via via tra Cañada Seca (in provincia di Buenos Aires), poi a Córdoba e Piquillin (in Provincia di Córdoba), quindi a Malbran (in provincia di Santiago del Estero), poi ancora a Buenos Aires. Tra sacchi di mais e carbone, boschi e piccole imprese, prestazioni mai pagate e false promesse, furti e delusioni, piccoli incidenti e fregature (che arrivano anche da compaesani). Nella ricerca spasmodica di lavoro, di cibo, di un tetto, di un pò di dignità, senza mai rinunciare a quella fede assorbita in famiglia, mai abbandonata, e a quella fiducia premiata quando finalmente arriva una vita che tale può essere definita. Insomma testimonianze di esperienze vissute capaci di dirci più di tanti saggi sulla migrazione come questione sociale e di aiutarci nella difficile declinazione della parola accoglienza in un contesto mutato, ma dove le motivazioni a lasciare la propria terra, le difficoltà nell'integrazione sono le medesime. Insomma, come scrive qui aprendo il diario don Rizzi «conoscere la vicenda personale e quindi storica di questi due fratelli di Zambla, ci può aprire una strada per capire cosa significhi accogliere i nuovi cittadini, ascoltare le loro storie, comprendere bisogni, sogni, speranze». 
 
C'è un limite all'accoglienza, occorre riconoscerlo, ma questo non può essere dettato dall'egoismo di chi si chiude nel proprio "bene stare", quanto piuttosto dall'incapacità di fare spazio, realmente, all'altro che ci viene incontro». «Simulando contentezza di andare in America», che sarà presentato a Zambla Alta nel Salone del Centro Parrocchiale lunedì alle 20.30, nel frattempo potrebbe aver trovato già un lettore d'eccezione. Nei giorni scorsi è infatti stato consegnato a Papa Francesco. E, ricevendo il libro, il commento di Jorge Mario Bergoglio, figlio di astigiani immigrati proprio in Argentina, è stato: «Lo sfoglierò per scoprire qualcosa della storia dei miei genitori».
Corriere della Sera - 25 luglio 2013
------------------------------



Nessun commento:

Posta un commento

Prefazione

Nei miei ottant'anni di vita ho letto, ascoltato e, qualche volte ricordato "storie" accadute a persone e luoghi  e che, ri...