Storie della Provincia

Vincenzo Verzeni il vampiro di Bergamo, 1870.

 


 Vincenzo Verzeni

Vincenzo Verzeni, “il vampiro di Bergamo”, si può considerare il primo serial killer di cui si ha notizia precisa e dettagliata in Italia. Comincia a colpire già all’età di 18 anni e a soli 22 anni sarà catturato e assicurato alla giustizia.

Nato nel 1849 a Bottanuco, nel bergamasco, era un ragazzo di robusta costituzione, docile, silenzioso e solitario, appariva gentile e innocuo. Proveniva da un ambiente familiare disagiato e povero: un papà violento e quasi sempre ubriaco, una madre remissiva e bigotta.

Un contesto difficile che non permette a Vincenzo di coltivare relazioni interpersonali con i suoi coetanei, e soprattutto con le ragazze. La sua rabbia, trattenuta e alimentata per anni esplode, tra il 1870 e il 1874.

La sua prima vittima fu Giovanna Motta di 14 anni. La giovane si stava recando a Suiso da alcuni parenti, quando fu aggredita da Vincenzo. La ragazzina non giunse mai a destinazione e scomparendo misteriosamente inghiottita nel nulla. Il suo corpo fu rinvenuto quattro giorni dopo deturpato da orrende mutilazioni. Il cadavere era completamente nudo e senza viscere, aveva molta terra in bocca ed era privo degli organi sessuali. Il collo presentava molti morsi e su un masso, accanto furono rinvenuti ben 10 spilloni disposti a raggiera.

La seconda vittima, nel 1872, si chiamava Elisabetta Pagnoncelli. Il suo cadavere fu ritrovato scannato, con morsi e graffi ovunque. Un rituale vampirico molto simile a quello usato per uccidere la Motta. Tra questi due omicidi portati a compimento, il Verzeni cerca, senza riuscirci, di uccidere altre donne per dissetarsi del loro sangue.

Nel 1867 afferra alla gola la cugina Marianna durante il sonno, ma la giovane grida e lui è costretto a fuggire. Nel 1869 Barbara Bravi è avvicinata da un individuo che l’aggredisce, urla disperata e l’assalitore fugge. Pur non riuscendo a vedere bene l’uomo, la donna non esclude che possa trattarsi del Verzeni.

Nel 1869 Margherita Esposito è assalita da una persona che lei identifica come Verzeni. La donna riesce a colpire l’aggressore al volto e, casualmente, il Verzeni nello stesso giorno sarà visto con la faccia gonfia. Sempre nel 1869, Angela Previtali è aggredita e trascinata in una strada isolata ma alla fine Verzeni la libera mosso da compassione. Il 10 aprile del 1871 tocca a Maria Galli importunata da un individuo che lei riconosce come Verzeni.

Il 26 agosto 1871 la signora Maria Previtali è spinta, gettata a terra e presa alla gola. Invitata a indicare il suo aggressore, Maria riconosce Verzeni come colpevole.

Il giovane eviterà comunque la condanna a morte per fucilazione, grazie al voto favorevole di un giurato e sarà condannato ai lavori forzati. Durante il processo l’imputato dichiarerà: “Io ho veramente ucciso quelle donne e ho tentato di strangolare altre perché provavo in quel modo un immenso piacere. Le graffiature che si trovarono sulle cosce non erano prodotte con le unghie ma con i denti perché io, dopo averle strozzate, le morsi e ne succhiai il sangue che era colato, con la quale godei moltissimo”.

Vincenzo Verzeni non reggerà a lungo i lavori forzati e, il 13 aprile 1874, sarà trasferito in un manicomio giudiziario, dove riceverà “cure estreme” come il totale isolamento nell’oscurità, docce gelate fatte cadere sul capo da un’altezza di 3 metri, alternate a bagni di acqua bollente o scariche elettriche di varia entità. “Cure” che lo faranno chiudere in un mutismo impenetrabile sino al 23 luglio 1874, quando sarà ritrovato impiccato nella sua cella. Fu rinvenuto penzolante contro il muro, con indosso solo le ciabatte e le calze, appeso per il collo a una fune attaccata all’inferriata.

Così finì la sua esistenza Vincenzo Verzeni, riconosciuto come un vampiro sadico e spietato che uccideva spinto da motivazioni sessuali. Il suo caso fu trattato da Cesare Lombroso (padre dell’antropologia criminale) nel suo libro “L’uomo delinquente”. Lombroso, prese parte al processo Verzeni, durante il quale sarà attratto da alcuni tratti somatici dell’imputato, come le mandibole enormi e gli zigomi alti, e fonderà su di lui le sue teorie del delinquente nato. Alla fine del processo, definirà l’imputato affetto da cretinismo, da necrofilia o pazzia per amori mostruosi o sanguinari, e malato di pellagra. 

 
A cura di Lara Pavanetto.

Tratto da https://veneziacriminale.wordpress.com/2014/10/09/vincenzo-verzeni-il-vampiro-di-bergamo-1870/

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Schegge dal passato: i rifugi antiaerei di Dalmine



Ogni città è palcoscenico del proprio vissuto storico e ogni traccia del passato nasconde una storia da raccontare. A volte questa storia è narrata e custodita nei musei, altre volte ci viene raccontata dai monumenti, dalle vie cittadine e dai dettagli che l’abitudine ha smesso di farci notare. Le tracce del passato portano alla luce anche brutti ricordi, tragedie che ancora oggi ci fanno riflettere. I ricoveri antiaerei di Dalmine risalenti alla Seconda Guerra Mondiale ne sono un esempio. Sì, perché nonostante siano trascorsi settantatré anni dalla loro costruzione e siano dismessi ormai da parecchio tempo, sono ancora lì, nei quartieri Leonardo da Vinci e Mario Garbagni, a testimoniare silenziosamente l’occupazione tedesca e la tragica devastazione del 6 luglio 1944.

Le acciaierie e la guerra. I due rifugi vennero costruiti nel corso del primo semestre dell’anno 1943, nei pressi del complesso delle acciaierie di Dalmine, conosciute allora come Officine Mannesmann. In quegli anni, l’Italia centro-settentrionale era occupata dalle forze tedesche e le acciaierie di Dalmine si erano impegnate, con l’accordo del 6 ottobre 1943, a garantire la produzione bellica per il Reich e per l’Italia in cambio di protezione militare per tutta la durata della guerra. Erano anni difficili, densi di preoccupazioni e di minacce belliche.


La costruzione dei due rifugi antiaerei. A Dalmine, dove il complesso edilizio della città si sviluppava per lo più nei pressi dell’impianto siderurgico, la necessità di difendersi dalle possibili incursioni aeree si concretizzò con la realizzazione di due ricoveri antiaerei: uno destinato al quartiere operaio Mario Garbagni, con capienza di cinquecento persone e l’altro, destinato agli impiegati e ai dirigenti d’azienda, nel quartiere Leonardo Da Vinci, che poteva ospitare almeno trecentosessanta persone.

Si legge sul blog di Gianni Facoetti: «Per la costruzione sono stati preventivati l’impiego di 10mila quintali di cemento, 350mila mattoni, 60mila mattoni forati e 150 tonnellate di ferro. Inizialmente la costruzione di entrambe le opere venne affidata a una ditta di Milano, la Damioli che in data 9 febbraio cominciò le operazioni nel quartiere Garbagni, e subito dopo in quello  del Da Vinci. Nel frattempo alla Dalmine pervennero nuove offerte più convenienti da parte di ditte concorrenti di Bergamo, che riuscirono a strappare l’appalto delle costruzioni alla rivale milanese. Alla Damioli subentrava, rispettivamente, l’Impresa Lanfranconi per il cantiere al quartiere Garbagni, e l’impresa Receputi per il cantiere del Da Vinci. Il preventivo di spesa veniva definitivamente approvato con la bella cifra di 2.050.000 lire per il Garbagni e 1.950.000 lire per il Da Vinci


L’esecuzione dei due imponenti rifugi prevedeva un impegno notevole sia sotto il profilo economico che sul piano delle risorse materiali e umane necessarie alla loro realizzazione. Per cercare di risolvere il problema si decise di ricorrere, come forza lavoro, all’impiego dei prigionieri di guerra del vicino campo di Grumello che accoglieva al suo interno militari ed internati di diverse nazionalità, in buona parte inglesi, francesi, greci e slavi. (il campo P.G. N. 62 di Grumello al Piano venne aperto nell’estate del 1941 in una località a pochi chilometri da Bergamo per internare prigionieri di guerra di grado inferiore, sottufficiali e truppa. Nel dicembre del 1942 aveva una capienza dichiarata di 3.000 posti-vedi DPG28). La mattina venivano trasportati a Dalmine utilizzando la linea ferroviaria Bergamo-Monza. Alla fine di giugno del 1943, la costruzione dell’opera viva risultava terminata».


Struttura e funzionamento dei bunker. I rifugi venivano raggiunti attraverso due profondi pozzi muniti di scala a chiocciola, che portavano a una profondità di circa venti metri, quota alla quale erano posizionale le gallerie destinate ad accogliere gli sfollati. I due corridoi misuravano uno sessanta e l’altro quarantacinque metri e lungo le pareti si sviluppavano dei sostegni in muratura destinati a portare panche di legno dove i presenti avrebbero trovato posto a sedere. Le gallerie erano ricoperte da uno strato di terreno, allo scopo di rallentare la penetrazione delle bombe, evitando quindi che l’esplosione avvenisse a contatto diretto con la loro superficie. Lo spazio era organizzato e predisposto con accortezza: ogni ricovero disponeva di un locale destinato al pronto soccorso, di un comparto di ventilazione e di trattamento chimico dell’aria, di un locale riservato ai responsabili del rifugio e infine di due bagni. Per garantire il contatto con l’esterno, era presente un collegamento telefonico con il centralino della Direzione dello stabilimento, le cui operatrici erano preposte a ricevere le comunicazioni provenienti dalla centrale di allarme di Milano.

Al suono della sirena di allarme, chiunque si fosse trovato in casa avrebbe dovuto scendere nel rifugio più vicino secondo un protocollo ben preciso: bisognava mantenere la calma, munirsi di abiti caldi, di acqua, di viveri e di maschera antigas. Nei ricoveri non si poteva fumare e non erano ammessi animali. Chi, invece, si fosse trovato all’aperto, era invitato a sparire dalla circolazione cercando rifugio nei bunker, sotto i porticati, negli scantinati o ai piani terreni.

Il bombardamento del 1944. Il 6 luglio 1944, le strategie di sicurezza dei bunker servirono però a ben poco, perché due gruppi di bombardieri americani provenienti dal Sud Italia scaricarono settantasette tonnellate di bombe sopra la fabbrica senza che nessun segnale d’allarme fosse diramato. I bunker rimasero vuoti e il bombardamento costò la vita a duecentosettantotto (268) persone e più di ottocento feriti. Secondo l’inchiesta dell’indagine della commissione prefettizia del 1945, l’allarme fu lanciato dalla centrale tedesca di Milano con deplorevole ritardo. Dopo il 6 luglio 1944, almeno altri sei bombardamenti interessarono il comune di Dalmine, ma questa volta i ricoveri contribuirono alla salvezza di molte vite umane.

 27 aprile 2016

Tratto da http://www.bergamopost.it/vivabergamo/schegge-dal-passato-rifugi-antiaerei-di-dalmine/
 


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Il mattino del 3 marzo 1906,

Tavernola iniziò a sprofondare nel Sebino.

 
 
Fortunatamente si registrò una sola vittima: Pietro Zenti
Il 3 e il 4 marzo del 1906 la lentezza dei crolli consentì ai tavernolesi di rendersi conto della gravità della situazione e quindi di abbandonare in tempo le abitazioni per mettersi in salvo nella parte alta, nelle frazioni a monte e nella chiesa di San Pietro adiacente il cimitero. Ma ugualmente ci fu una vittima: in una casetta in riva al lago padre e figlio non seguirono i congiunti sfollati. Avevano, infatti, deciso di restare nella loro abitazione che durante la notte crollò nel lago, trascinandoli con sé: Pietro Zenti di 68 anni fu l'unica vittima del disastro di Tavernola, mentre suo figlio Battista si salvò, aggrappandosi ad alcune travi e aspettando il professor Sina e alcuni barcaioli che accorsero coraggiosamente in suo aiuto.

Intanto i rifugiati dell'ultima ora, che si erano assembrati in San Pietro, tendevano l'orecchio per individuare la provenienza degli scrosci delle case che scivolavano nell'acqua. All'alba la scena che si presentò ai loro occhi fu sconvolgente: villa Grasselli, la strada, gran parte della casa parrocchiale, parte dell'orfanotrofio del Cacciamatta, la casa delle sorelle Foresti, l'osteria, la filanda Capuani e casa Zenti se l'era tutte inghiottite il Sebino.

Sono tutti morti i tavernolesi testimoni diretti dell'avvallamento. Ma c'è chi ricorda per aver sentito narrare questi fatti fin dall'infanzia. Come Emma Foresti, 85 anni, che ricorda bene i ripetuti racconti di sua madre. «A lanciare il primo allarme sabato 3 marzo furono alcune lavandaie, tra cui mia madre Ninì (Caterina Trapletti, ndr) che all'epoca dei fatti aveva 17 anni e lavorava nella filanda Capuani. Alle 7 di mattino, prima di recarsi al lavoro, stava sciacquando i panni nel lago, quando notò che dall'acqua provenivano delle strane bolle. Si ritirò appena in tempo per vedere scomparire lo scivolo in pietra su cui alcuni minuti prime si trovavano lei e le sue amiche. Il barcaiolo Tonni di Portirone, passando la sera precedente davanti a Tavernola di ritorno da Iseo aveva udito un rumoroso e strano ribollire in profondità del lago, cosa che aveva segnalato con meraviglia ai conoscenti.
Nonostante i crolli e gli allarmi lanciati da varie persone, le filandiere dovettero trattenersi in filanda per tutta la giornata, dato che il proprietario la riteneva al sicuro. Solo di sera, però, in seguito al crollo di un'altra parte della villa Grasselli, cominciò l'esodo affrettato della gente. Si stava facendo buio, quando Pierì Foresti, udito un altro crollo, cominciò a correre per i vicoli urlando alla gente di scappare».

«Le orfanelle del Cacciamatta – continua Emma Foresti – fuggirono a precipizio dalla porta posteriore su per la via Valle per trascorrere la prima notte nella chiesa di San Michele. Mia mamma con la sua famiglia scappò al cimitero, luogo di rifugio per quelli delle retrostanti via Pero e via Roma. Non era una notte di luna, pertanto non si poteva vedere nulla d'alto. Si sentivano però i boati e gli scrosci dei crolli. Agli abitanti delle case pericolanti fu consentito un rapido rientro per mettere in salvo quanto possibile. Ci fu una gara di solidarietà fra compaesani che ospitarono i senzatetto per tutto il periodo della ricostruzione».
di Margary Frassi
L'ECO DI BERGAMO - 3 marzo 2006
 

 
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La Pro Dalmine

 


Le opere sociali e assistenziali della Dalmine S.A. fino al 1942 ca.

La Società Anonima Stabilimenti di Dalmine è la fondatrice della Società Anonima la “Pro Dalmine” (costituita il 09.07.1935 con sede a Milano e poi fusa in Dalmine nel 1973) la quale ha per  iscopo precipuo il coordinamento  e l’incremento di tutte le opere assistenziali per la maestranza operaia ed impiegatizia nella zona di Dalmine e l’incremento di opere sociali, culturali ed assistenziali a loro favore e delle loro famiglie, nonché lo sviluppo di ogni iniziativa a favore della plaga dalminese, in ispecie immobiliare ed agricola, con esclusione di ogni finalità di lucro. Un cenno particolare meritano le quatto colonie estive per ragazzi dai 6 ai 12 anni che ogni anno ospitavano, a spese della Pro Dalmine, i ragazzi dei dipendenti della Dalmine. Per quei tempi fu un’iniziativa sociale molto apprezzata e sentita.  Il periodo qui rappresentato è anteriore al 1942. Dopo il periodo bellico è tutta un’altra storia.

Opere realizzate a Dalmine dalla Pro Dalmine (progett. arch. Giovanni Greppi  -  (MI 1884 - MI 1960)

Albergo- pensione privata  (1925)
Scuola privata elementare   (1926-28)
L’asilo-scuola materna (1926-28)
Il villaggio operai–M.Garbagni (1928)
Il villaggio impiegati-L.daVinci  (1928)
I campi polisportivi con pista (1929)
La chiesa di S. Giuseppe  (1929-31)
Le case Parrocchiali (1929-31)
La colonia alpina di Castione  (1931-33)
La mensa aziendale  (1934)
La cooperativa di consumo  (1934)
Lo spaccio alimentare    (1934)
Il pastificio e panificio /1934)
Il molino (1934)
La centrale del latte (1934)      
La colonia di Riccione  (1936)
La colonia di Dalmine  (1937)
L'azienda agricola  (1937)
La piscina scoperta (1937)
L'antenna alta 63 m  (1937-38)
Il poliambulatorio  (1941-1942)
La casa del fascio  (1938)
La sede del dopolavoro (1938)
La fontana monumentale (1938-39)
Sede direz.le Dalmine S.A.  (1938)
La casa di riposo (1939-1940)
Colonia Crenoterapica Trescore 1941
Autorimessa per autobus  (1954)
Quartiere del Cinquantenario (1955)
La colonia Alpina di Castione della Presolana (1.000 m s.m.)
 
La decisione di costruire un apposito edificio come colonia alpina a Castione della Presolana maturò nel 1930 avendo come obiettivo la salute dei bambini e quando la Società ritenne ormai insufficiente ospitare i figli dei dipendenti presso altri istituti già esistenti. Viene pertanto acquistato a Castione un terreno coperto quasi completamente da una pineta e sul quale sono presenti due fabbricati. L’incarico di progettare la nuova colonia è affidato all’arch. Giovanni Greppi la cui creatività è però ostacolata dal problema del contenimento dei prezzi.   

La colonia marina di Riccione (Forlì)

 
L’edificio della colonia, progettato dall’arch. Greppi, fu costruito su un appezzamento di terreno ubicato sulla litoranea Riccione-Rimini, largo 130 m e lungo 280 m che si estende dalla spiaggia al terrapieno della ferrovia adriatica. I terreni, di proprietà della sig.ra Nadiani Teresa ved. Bianchini, rappresentata dal figlio Bianchini Massoni Guido, sono stati acquistati dalla Società Anonima Pro Dalmine, rappresentata dal Consigliere Delegato Cav. Dott. Prearo, con atto notarile N. 13999 di Rep. Del 1 agosto 1935, in conformità alla relazione catastale di misurazione del geom Pozzi Rodesindo datata 16 luglio 1935, che si allega, per la somma di £ 80.000.

La colonia elioterapica di Dalmine (BG)

 
Costruita nel centro di Dalmine, vicino alla grande fabbrica, offriva 60 giorni di cura ai bambini dai 6 ai 12 anni, anche non appartenenti a famiglie di dipendenti della Dalmine. La sua attività inizia nel 1924 con 77 bambini, nel 1938 erano 251 poi via via crescendo fino a un massimo di 344 bambini nel 1940. Tra la fine degli anni 1910 e l'inizio degli anni 1920, come altri comitati italiani, anche il Comitato Provinciale Antitubercolare di Bergamo promosse un’intensa propaganda a favore delle colonie per bagni di sole nel tentativo di sostenere un'adeguata profilassi per l'infanzia. La Colonia elioterapica di Dalmine fu istituita nel 1922 dalla Soc. An. Stabilimenti di Dalmine, intitolata dal 1924 a Cesare Molinero, direttore amministrativo della Società.

La colonia Crenoterapica di Trescore Balneario (BG)

 
Nella  seconda metà degli anni Trenta la società Anonima Stabilimenti di Dalmine decise di istituire una Colonia crenoterapica per i figli dei propri dipendenti, ai quali offrire le cure delle acque termali di Trescore Balneario. La colonia crenoterapica di Trescore Balneare (BG) poteva ospitare 100 bambini per ogni turno di venti giorni, per la cura di affezioni otorinolaringoiatriche, cutanee, artritiche, asmatiche etc. interamente a spese della Pro Dalmine. Fino al 1941 i bambini venivano alloggiati presso il locale stabilimento Bagni. Nel 1938 e 1939 venne fatto un solo turno, (rispettivamente di 11 e 49 bambini) nel 1940 e 1941 tre turni (tot. 300 e 137 bambini). Dal 1942 la colonia disponeva di sede propria in un edificio appositamente attrezzato: avente superficie cintata di 7.000 mq e un volume del fabbricato di 8.400 mc. Nel 1957 sui 150 addetti alle colonie della Dalmine 19 erano destinati alla colonia di Trescore.

La colonia Dalmine è diventata, nel 2005,  la Casa di riposo «Papa Giovanni XXIII»  cioè Residenza Sanitaria Assistenziale per anziani. La struttura, dopo quattro anni di lavoro e una radicale trasformazione, dispone di 61 posti letto con tutti i servizi complementari.

Il centro di Dalmine

Sulla piazza XX Marzo 1919, di fronte all’ingresso agli stabilimenti, la fontana su cui sono incise le parole del discorso di Mussolini agli operai della Dalmine del 1919. Da un lato la Chiesa Parrocchiale, le Scuole Elementari, l’Asilo Infantile e la Colonia elioterapica, dall’altro lato la Cooperativa di consumo, la Mensa aziendale ed il Molino. Un viale intitolato al martire fascista Giulio Benedetti porta alla piazza dell’Impero, dominata dalla più alta antenna tubolare del mondo (63 m). Intorno all’antenna la casa del Fascio, la casa Comunale, il Poliambulatorio e la sede del Dopolavoro.

La Chiesa Parrocchiale

Costruita su progetto dell’arch. Greppi e inaugurata nel 1931, venne decorata ed affrescata da artisti insigni. Donata dalla Dalmine alla parrocchia S. Giuseppe di Dalmine.

La Chiesetta di S. Giorgio

 
Antica cappella di origine anteriore al 1500, testimone di molta parte della storia dalminese, è ornata di antichi e pregevoli affreschi murali. In corso di tempo divenne di proprietà dei canonici lateranensi, poi della famiglia Camozzi e poi della Pro Dalmine, che nel 1940 provvide al suo accurato restauro. Ora è di proprietà della parrocchia.

 La casa del fascio

Sulla Piazza dell'Impero di Dalmine (ora piazza della libertà), si affacciavano gli edifici di rappresentanza del Comune di Dalmine, edificati tra il 1934 e il 1938. Tra di essi la Casa del Fascio, costruita tra il 1934-35 e donata dalla Soc. An. Stabilimenti di Dalmine, il 28 ottobre 1936 (XIV), al Fascio di combattimento di Dalmine e fu la sede di tutte le organizzazioni della federazione del fascio locale. La torre rivestita di pietra della Rocca delle Caminate, racchiude nel suo interno il Sacrario in ricordo dei camerati caduti.
Le piscine
 
L’asilo Infantile

Costruito nel  1926 su progetto dell’arch. Greppi. Ospitava ogni anno 60 figli dei dipendenti, ai quali, attraverso la Pro Dalmine, venivano distribuiti gratuitamente indumenti e refezione. Sup. 332 mq, Volume 1.916 mc.

Le scuole elementari

L'edificio della scuola elementare era stato realizzato nel 1927 da Giovanni Greppi, ha una cubatura di 5.680 mc ed circondato da un ampio giardino.  Destinata in primo luogo ai figli dei dipendenti della Società, che attraverso la Pro Dalmine provvedeva ad ogni spesa educando ogni anno, nelle cinque classi, circa 250 alunni. La decisione della Società di costruire in proprio una scuola elementare matura a seguito di anni di complessi rapporti con l'allora comune di Sabbio che, a seguito di convenzioni e oblazioni da parte dell'impresa siderurgica, avrebbe dovuto occuparsi della realizzazione delle scuole, operazione sempre rimandata. La situazione venne sbloccata quando, nel 1927, Sforzatica, Mariano al Brembo e Sabbio Bergamasco vennero riuniti amministrativamente nell'unico comune di Dalmine. Poi passata alla Provincia ora è di nuovo passata a privati, ristrutturata e ampliata (20

Villaggio Operai e Villaggio Impiegati.

I due villaggi in continuo sviluppo, occupavano, compreso le case costruite nell’anno XX, un’area di 135.937 mq, di cui 21.257 mq sono coperti da 88 fabbricati (296 appartamenti pari a 1.460 locali), con un volume complessivo di 162.935 mc, mentre la parte rimanente era destinata a giardini ed orti attorno ad ogni casa.

La pensione Privata

L’Albergo o Pensione Privata, nata nel 1925, per il personale delle acciaierie privo di famiglia e che provenivano da località lontane, apre la lunga e programmata sequenza di realizzazione che cambieranno il volto di Dalmine. In stile Art Decò l’albergo è un edificio ben proporzionato che Greppi progetta sino nei sino nei minimi dettagli: suoi sono gli arredi, come i lampadari e l’apparato decorativo, i parapetti in ferro dei balconi e quello della grande scalinata interna. La foresteria metteva a disposizione fino a 40 camere da letto, sale da gioco e da ritrovo. Il ristorante poteva servire 120 pasti contemporaneamente, anche per ospiti giornalieri presso gli uffici della Dalmine.Superficie coperta del fabbricato 933 mq, per un volume di 11.000 mc.

Mensa Aziendale

Poteva accogliere contemporaneamente 1.200 operai per ogni turno, per ricevere il pasto o consumare cibi portati da casa. Superficie del fabbicato 936 mq per un volume di 11.250 mc.

Deposito cicli

Il deposito poteva accogliere 3600 bici, opportunamente marcate e con contrassegno che la guardia di sorveglianza poteva controllare.

La Cooperativa di consumo

Consentiva ai dipendenti della Dalmine l’acquisto di ogni genere alimentare col doppio vantaggio del prezzo limitato e del pagamento mediante gettoni anticipati sulla busta paga. La cifra media di affari, di L 2.500.000 per anno, dice quanto favore incontrava questa istituzione che ripartiva gli utili fra gli stessi consumatori, in rapporto agli acquisti compiuti.

Il Molino, il Pastificio e Panificio, la Centrale del Latte.

Sono nati per lavorare i prodotti primari dell’Azienda Agricola della Pro Dalmine che venivano poi passati alla Cooperativa di Consumo per la distribuzione. Il fabbricato molino-pastificio-panificio occupava una superficie di 485 mq. Le potenzialità produttive erano: 25 q.li di farina, 10 q.li di pane e 5 q.li di pasta. La centrale del latte lavorava circa 70.000 litri di latte all’anno.

L’azienda agricola

Era destinata a ricordare ai lavoratori l’amore per la terra, prima base dell’economia nazionale, ed a servire da guida all’agricoltura locale con coltivazioni e attrezzature razionali. L’azienda agricola era composta da 8 gruppi colonici, con 100 ettari di terreno interamente a coltivazione e con 70 capi di bestiame da latte. Dotata delle principali macchine agricole, con due trattori meccanici disponeva anche di un moderno impianto di essicazione del granoturco.  Da segnalare che nel 1941 la Pro Dalmine ebbe il primo premio del Concorso Provinciale per alte produzioni unitarie di bozzoli fra Aziende agricole condotte a mezzadria.

Il Dopolavoro Aziendale.

Nasce nel 1938 per l’organizzazione del tempo libero dei dipendenti della Dalmine. Il fabbricato ha una superficie coperta di 420 mq per un volume complessivo di 4.365 mc.Il dopolavoro Aziendale è dotato di uno stadio avente un’area di 22.000 mq, con una pista sopraelevata in cemento per gare ciclistiche, di campi di gioco per palla-corda che coprono un’area di 1.435 mq, di una piscina di dimensioni olimpiche (33,33 x 18 m), e di due campi da tennis, ideale centro di sport e svago per le maestranze della Dalmine. La sede del Dopolavoro Aziendale della Soc. An. Stabilimenti di Dalmine, costituiva insieme alla Casa Comunale e alla Casa del Fascio, la serie di edifici realizzati per il centro di Dalmine dall'architetto Giovanni Greppi tra il 1936 e il 1938. Nei suoi due piani ospitava locali di riunione per i dipendenti, allo scopo di favorire lo sviluppo di attività ricreative nel tempo libero. Il dopolavoro, intitolato alla medaglia d'oro Antonio Locatelli, nel dopoguerra divenne Circolo Ricreativo Aziendale Lavoratori (Cral). Organizzava diverse attività culturali (tra le più importanti il Premio Dalmine di fotografia in varie edizioni dal 1939 al 1964 e il Premio Dalmine di pittura.

La casa di riposo 20 Marzo 1919

Costruita nel ventennale del discorso di Mussolini a Dalmine, era destinata ad accogliere, a complete spese della Società, i vecchi operai della Dalmine. Nel periodo bellico il fabbricato è stato momentaneamente (poi permanentemente) utilizzato per la Scuola Tecnica Industriale e per le altre istituzioni coordinate dal Centro per l’istruzione Professionale della Dalmine.

Poliambulatorio Dalmine

 
Premesso che la Pro Dalmine S.A. ha per scopo, fra l’altro, la fondazione e l’incremento di opere Sociali e assistenziali a favore dei dipendenti della Dalmine S.A. e delle loro famiglie; per il raggiungimento del citato scopo fa atto di donazione del poliambulatorio, per l’assistenza sanitaria di circa 25.000 persone, ai dipendenti della Dalmine e alle loro famiglie. L’immobile, di nuova costruzione, realizzato nel 1942 dalla “Pro Dalmine S.A.” su progetto dell’arch. Giovanni Greppi è ubicato sul viale principale di Dalmine (Viale Giulio Benedetti – ora Viale Betelli), accanto alla Casa del Fascio e di fronte al Municipio.

L’acquedotto.

Il 20 dic. 1941 la Pro Dalmine acquista l’acquedotto di Dalmine dal Comune di Bergamo (acquedotti civici). La pro Dalmine si sostituisce pertanto al Comune di Bergamo nell’esercizio dell’acquedotto. A sua volta il Comune di Dalmine cede a Pro Dalmine la sua parte di proprietà dell’acquedotto. Bergamo (acquedotti civici) s’impegna a mantenere in efficienza i due tronchi di collegamento, quello proveniente da Treviolo e quello sulla strada provinciale BG-MI, che resteranno collegati all’acquedotto di Dalmine tramite saracinesca. Costo totale L 150.000.

Prima del ’41 il servizio veniva svolto dal Comune di Dalmine con acqua proveniente dagli Acquedotti Civici del comune di Bergamo, con il tempo e gli accresciuti fabbisogni si dimostrava insufficiente. Negli anni 37-38, la Pro Dalmine aveva costruito una propria rete di distribuzione nel comune di Dalmine la cui capacità era stata studiata per servire l’intero territorio comunale. A questo punto il Comune, fra più soluzioni, scelse quella di stipulare una convenzione con la Pro Dalmine e cedere a Pro Dalmine tutti i propri impianti dell’acquedotto per L 50.000. Mai scelta fu più infelice. Infatti la sola bolletta del comune, per l’acqua acquistata da Pro Dalmine per il 1942, ammontò a L 55.000.  Dopo gli anni 60 il Comune si rese conto della necessità di riacquistare l’intero acquedotto. Il primo tentativo, senza esito, risale al 1959 con una stima di L 45.000.000. Negli anni 60/64 il Comune affrontò il problema alla radice cercando e trovando una nuova falda acquifera potabile. Ora però la Pro Dalmine chiedeva 200 milioni di lire. La trattiva si concluse nel 1974 con l’acquisto, da parte del Comune di Dalmine, dell’acquedotto della Pro Dalmine con una spesa di 180 milioni.

Tratto da http://www.facoetti.com/index.php/socdalminetenaris/223-sa-pro-dalmine

 

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